Capitolo 40

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Entro nell'ampio bagno.

Mi concedo un istante per guardarmi intorno. È molto ordinato, luminoso e lussureggiante. Tutto qui è descrivibile da questi tre aggettivi.

Giro lentamente su me stessa ed il mio sguardo ricade sul mio riflesso nello specchio.

Sono un disastro.

I capelli, arruffati e sporchi; il mio viso, le mie mani.

Attraverso lo specchio vedo un mobiletto con sopra un bagnoschiuma, uno shampoo, un balsamo per capelli e, ripiegati con cura, un accappatoio bianco, della biancheria intima e dei vestiti.

Apro l'acqua e, mentre aspetto che la vasca si riempia, mi spoglio velocemente.

Dopodiché, mi immergo nell'acqua calda ed accogliente.

Mi impongo di non avere fretta, e, dopo essermi lavata interamente per almeno tre volte, decido di uscire dalla vasca, anche se malvolentieri.

Rapidamente afferro l'accappatoio e avvolgo il mio corpo nel suo morbido tessuto.

Trovo anche delle ciabatte, anch'esse di colore bianco.

Sembro essere finita in un hotel a cinque stelle.

Dopo essermi asciugata, infilo la biancheria intima ed i vestiti: un paio di jeans scuri attilati e un maglione blu scuro dallo scollo a V.

Mi sento in imbarazzo. Questi vestiti li ha scelti sicuramente Andrew e le taglie sono perfette. Anche quella del reggiseno.

Arrossisco e scruto il mio riflesso nello specchio.

Adesso va meglio.

Anche se è difficile da credere, negli sportelli dei mobili di questo bagno trovo tutto quello che mi serve.

Mi asciugo meglio i capelli con il phon e dopo me li lego in una coda alta, in modo da levarmeli da davanti gli occhi.

Faccio un bel respiro ed esco dal bagno.

Guardo sia a destra che a sinistra, poi chiudo la porta.

Cammino fino alla grande scala e scendo nell'ampio ingresso.

Su entrambi i lati ci sono due archi che danno ad altri corridoi.

Mi inoltro nel corridoio sulla destra.

Ci sono varie porte, simili a quella del bagno.

Ne scelgo una e provo ad aprirla, ma non succede niente.

Torno indietro un po' intimorita e sto per pensare di salire le scale e tornare di nuovo in bagno, ma una la voce di Andrew mi fa voltare.

Sta vendendo dal corridoio opposto rispetto a dove sono andata io.

Cammina verso di me con eleganza e con un sorriso che gli illumina gli occhi.

Ha una padronanza di sé che non avevo mai visto.

Di rimando, gli sorrido anch'io, anche se il mio è un sorriso timido ed imbarazzato.

"Vedo che ti stanno a pennello"-allude ai vestiti, ed io arrossisco.

"Ti piacciono?"

Annuisco fissando il lucido pavimento.

"Vieni, la cena è pronta"-mi tende una mano e mi conduce alla sala da pranzo, la prima porta a destra nel corridoio da dove prima è venuto lui.

Come tutti gli spazi di questo posto, anch'esso è enorme.

Un lungo tavolo imbastito e circondato da otto sedie padroneggia l'ambiente.

Andrew mi fa sedere a capotavola, scostandomi la sedia e comportandosi da perfetto gentiluomo.

Sorrido timidamente mentre mi sistemo meglio sulla sedia e guardo Andrew sedersi dall'altro lato del tavolo e fare un cenno distratto con la mano verso la porta.

Poco dopo, arriva una signora sulla sessantina con un carrellino con sopra le portate.

Sono imbarazzata da tutto questo lusso.

"Lei è Alexa, una delle più fidate cameriere"-spiega Andrew, e lei mi rivolge un rapido sorriso.

"Lenah, serviti pure."

Lo guardo costringendomi ad abituarmi al suo nuovo lato, da perfetto padrone di casa.

"È tutto di tuo gradimento?"

Non ce la faccio a trattenermi e scoppio a ridere.

Andrew mi guarda sollevando un sopracciglio, l'espressione divertita.

"Smettila di parlare così"-gli dico, fissando il piatto con un sorriso.

"Va bene, ma sai, mi ci stavo abituando."

Scoppia a ridere anche lui.

Passano alcuni istanti di silenzio, poi mi faccio coraggio e dico:

"Ma...i tuoi...insomma...sei da solo in questa casa?"

"Per ora sì"-risponde cauto "i miei sono partiti per una vacanza, e siamo rimasti solo Alexa ed io."

Annuisco sovrappensiero, mentre non so se domandargli ciò che mi tormenta da quando sono arrivata qui.

Faccio un respiro profondo, poi parlo:

"E...posso farti una domanda?"

Lui smette di mangiare e mi scruta con i suoi occhi azzurro mare.

"Certo."

"Perché i tuoi ti hanno lasciato nel manicomio? Insomma...loro potevano permettersi di farti uscire da là"-faccio un gesto ad indicare l'evidente sfoggio della ricchezza della famiglia Sheen.

Lui mi fa un sorriso abbozzato.

"Hanno detto che mi serviva una lezione"-spiega "perciò...mi hanno lasciato lì."

"Oh"-mormoro soltanto, stentando a credere alla crudeltà dei suoi genitori.

Decido di rimanere in silenzio e continuare a mangiare, ma riesco solo a giocherellare con il cibo: improvvisamente non ho più fame.

Pain is madness [ IN REVISIONE ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora