20

501 27 57
                                    

Percorsi il vialetto di casa con le mani infilate nelle tasche della giacca, il cappuccio calato sulla testa e con tutti i sensi in allerta. Sembrava tutto tranquillo ma la morsa che mi attanagliava lo stomaco non mi faceva sentire per nulla a mio agio.

Estrassi la mano dalla tasca, recuperai le chiavi di casa dallo zaino e feci per inserire la chiave nella serratura, ma appena sfiorai la porta ella si apri lentamente cigolando.

Mi raggelai sul posto quasi incapace di muovere un muscolo, se fosse stata notte me la sarei già data a gambe levate.

"Avanti Charlie." bisbigliai facendomi coraggio da sola "la macchina non c'è, papà si sarà solo dimenticato di chiudere bene la porta."

Avanzai di qualche passo e urtai qualcosa che ruzzolò via in tutta fretta creando un gran frastuono, mi affrettai ad andare a raccogliere qualsiasi cosa avessi colpito ma quando mi ritrovai tra le mani una bottiglia di whisky completamente vuota capii che non avrei avuto scampo.

Mollai la presa, mi rialzai in fretta e senza indugio corsi in cima alle scale diretta alla mia camera, l'unica stanza che si poteva chiudere a chiave.

Quando fui in cima però, trovai la mia porta scardinata e buttata malamente a terra, con il poco coraggio che mi rimase varcai la soglia; trovai la mia camera completamente sottosopra e mio padre seduto sul mio letto con occhi iniettati di sangue.

Indietreggiai fino a toccare l'armadio con la schiena.

Era evidentemente ubriaco e puzzava così tanto di alcool che avrebbe potuto stordire un elefante.

Si alzò e barcollando mi raggiunse. Con le sue mani sudice mi afferrò il volto e io chiusi gli occhi nella speranza che lui scomparisse.

"Non vuoi proprio ascoltarmi vero? Perché non fai mai quello che ti dico?" bisbigliò troppo vicino al mio orecchio.

Le sue mani avanzarono lente sul mio viso per poi saettare come un fulmine verso i miei capelli afferrandoli e tirandoli a tal punto da farmi sbattere la testa violentemente contro le ante dell'armadio.

Non gridai, non piansi, strinsi solo gli occhi più forte di prima pregando che finisse tutto velocemente.

Riprese a parlare con un tono di voce sempre più alto.

"Mettitelo bene in testa perché questa è l'ultima volta che te lo ripeto. Ho provato a fartelo capire con le buone ma con te non serve a niente parlare, è molto meglio usare le mani. Quello smidollato di tuo fratello marcirà in quell'istituto fino a quando lo dirò io e ti conviene dimenticarlo in fretta perché non lo rivedrai mai più!" sibilò.

"Tu non mi terrai mai lontana da Noah! Avevi una sola cosa da fare dopo che la mamma è morta...proteggerci e hai fallito anche in questo, sei tu l'unico smidollato qui." dissi di rimando con tutto il fiato che mi rimaneva.

Le sue mani passarono dai miei capelli al mio collo e lo avvolsero, stringeva talmente forte da non farmi più respirare, gli occhi ora li tenevo spalancati e fissi nei suoi. Non vedevo dolore, rimorso o vergogna ma solo rabbia, nient'altro che una rabbia cieca.

"Io non mi arrenderò mai, io non sono come te, dovrai uccidermi!" bisbigliai con l'ultimo filo di voce che mi rimase.

Si mise a ridere sguaiatamente "Vi ho creati io e siete stati l'errore più grande della mia vita; ritieniti fortunata che mi servi ancora per l'immagine pubblica se no avrei già fatto sparire anche te, piccola ingrata. Tu sei esattamente come me, dici di amare tuo fratello ma non fai nulla per aiutarlo, salti la scuola e te ne vai in giro con i tuoi amichetti per tutto il giorno pensando che non ci saranno delle conseguenze. Credimi, inizio a pensare che tra i due sia Noah il fortunato. D'ora in poi sarò io il tuo inferno personale!" poi mi batté per l'ultima volta contro l'armadio.

Dear Mr. DavisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora