Pain and inner monsters

291 18 4
                                    

Rose Weasley aveva pochissime certezze nella vita.

La sua famiglia, prima di tutto. L'esatta sfumatura degli occhi verdi di Al, e di quelli di Hugo. L'odore della carta stampata nello studio di sua madre, delle chiacchiere condivise con lei tra i libri. Le lentiggini sul lungo naso di suo padre, il sorriso contagioso di James. Gli occhiali storti di nonno Arthur e i biscotti allo zenzero di nonna Molly. Poi, la torta alla melassa a colazione, ad Hogwarts. La piega contrariata delle labbra severe della McGranitt, quando qualcosa non andava per il verso giusto. I suoi capelli impossibili.

Più o meno, le sue certezze finivano lì. Fino a qualche mese prima, tra le sue certezze era inclusa anche l'insopportabile arroganza di Scorpius Malfoy. Adesso, anche solo pensare a quel nome la faceva sussultare di dolore, come un coltello affilato rigirato in una ferita aperta.

Ma una certezza, fra le altre, ancora le era rimasta: nonostante l'inadeguatezza di cui si vestiva, nonostante il suo essere totalmente insignificante, Rose Weasley non era una stupida, e non lo sarebbe mai stata. Lo sapeva, perché aveva ereditato i geni di due dei tre Salvatori del Mondo Magico. Lo sapeva, perché sua madre era sempre stata la strega più brillante della sua età, e Rose le somigliava troppo per essere da meno. Lo sapeva, perché proprio come aveva fatto con sua madre, il Cappello Parlante aveva impiegato svariati minuti prima di assegnarla a Grifondoro, convinto che anche la Casa di Corvonero sarebbe stata perfetta per lei.

Rose Weasley non era una stupida.

E continuava a ripeterlo a sé stessa, come un mantra, mentre davanti allo specchio osservava le occhiaie scure che le circondavano gli occhi chiari. E disse a sé stessa che non sarebbero bastati tutti i Serpeverde alti, biondi e meschini di questo mondo e farglielo dimenticare.

Erano stati giorni difficili. Ogni momento in cui l'aria le attraversava i polmoni le ricordava quanto fosse difficile aver amato e perso, senza neppure aver avuto modo di rendersene davvero conto. Giorni in cui aveva imparato a memoria ogni brandello del suo cuore ferito, ogni goccia di dolore che si era sforzata di raccattare e metter via. Erano ancora giorni difficili. Erano giorni in cui raccoglieva le ginocchia al petto almeno una volta al giorno, sul pavimento duro e freddo del bagno di Mirtilla Malcontenta, e lasciava cadere lacrime amare, piangendo la propria vulnerabilità, chiedendosi come avesse potuto essere così ingenua da non rendersi conto che era stata tutta una farsa.

Era stata ingenua, sì. Ma non stupida.

E con questa consapevolezza, a poco a poco, Rose Weasley era tornata. Era tornata a sorridere alle persone a cui voleva bene, sebbene quel sorriso non riuscisse mai a scaldarle lo sguardo. Era tornata a leggere i suoi libri e a litigare con Dom per i suoi capelli impossibili, che la cugina tentava sempre di mettere in ordine – puntualmente, senza successo. Era tornata a guardare il mondo attorno a lei, e si era resa conto dei tentativi disperati di Hugo di portarsi a letto Camille Corner. E della felicità di Lily, e del modo in cui Lysander era cambiato, con lei.

Rose era tornata. Eppure, non era la stessa Rose.

Era una Rose incredibilmente più vigile, incredibilmente più attenta. Una Rose che si era imposta di reagire, di ricostruirsi una parvenza di normalità in quel mondo colorato di grigio. Una Rose che aveva rinunciato ai colori, e così era riuscita a sopravvivere.

E ancora una volta, era riuscita ad ingannare tutti, persino sé stessa, ma non Lily. Ancora una volta, era stata Lily a vederle attraverso, forse perché – ormai Rose lo sapeva- era stata immersa così tanto a lungo nella sofferenza da saperla riconoscere al primo sguardo. Seppure mascherata, velata, camuffata. Seppure nascosta in tutti i modi. Lily aveva saputo abbracciarla, quella sofferenza. Se n'era vestita e ne aveva fatto la sua forza più grande, si era lasciata forgiare. Rose non ne era capace: se solo si permetteva di abbassare la guardia, il dolore che l'attanagliava era così intenso, così sordo da non permetterle neppure di respirare.

Qualcosa per cui vale lottareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora