VII

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Gayaniya Preobrazhensky, Istoricheskaya Akademiya, Mosca-Russia.

"Ma quale patto e patto, Ivanov," sussurrai. "Hai un mio oggetto privato, dovrebbe essere un atto civile ed educato restituirmi ciò che è mio."

L'espressione di Ivan si irrigidì e per poco riuscii a scrutare all'interno di quei due occhi ghiaccio.

"Gaya, non ho niente."

Presi un profondo respiro e mi calmai. "So benissimo che hai il mio diario, Ivanov."

Il ragazzo rotolò sul fianco e si sdraiò nella porzione rimanente del letto; voltai la testa verso di lui e lo vidi prendere un grosso respiro.

"Ne ho bisogno," mi disse con un sussurro doloroso e mi chiesi da quando fossimo diventati amici. O se lo fossimo, tanto da poterci confidare i segreti nel pallido sole mattutino. "Davvero."

"Ne hai bisogno?" Bisbigliai a bassa voce quasi scandalizzata. "Che cavolo puoi mai trovare nel mio diario che ti possa servire?"

"Tu non hai idea," sussurrò di nuovo stropicciandosi il viso. "Non hai davvero idea di che inferno sia la mia vita."

"La tua vita?" Ripetei come un pappagallo. "Stai scherzando?" Mi sollevai sul gomito e con impazienza mi buttai parte dei capelli lunghi alle spalle. "Sei il primo della classe, fai parte del Dipartimento di Storia e di Legge, con tutta probabilità entrerai a far parte del governo Russo. Dio, Ivan, la gente vi stima."

Volevo davvero cercare di comprenderlo e non perché fossi cotta a puntino come uno spiedino durante le grigliate americane, ma perché mi sembrava davvero inconcepibile il suo discorso.

"Cosa mi interessa del governo," sbuffò e si spettinò i capelli. "Non me ne fotte un cazzo." Soprappensiero si attorcigliò una mia ciocca intorno al dito indice; a quel gesto smisi di respirare. "Non conosci nemmeno una briciola di quello che ho dovuto trascorrere Gaya."

"E cosa hai dovuto affrontare, Ivan?" Sussurrai utilizzando di proposito il suo primo nome; non so per quale astruso motivo, ma avvertii una somiglianza tra me e quel ragazzo, una somiglianza che non era governata dal mio debole. "Mh?"

Ricambiai il suo sguardo con tranquillità. Ero una persona dolce. Ero una persona dolce perché avevo attraversato l'inferno, e avevo compreso che avere qualcuno di importante, qualcuno che ti ascoltasse e che reputasse fondamentale ciò che provavi, ciò che avevi nella testa, era molto più significativo di un bacio.

"Perché fai la gentile con me dopo che ti ho trattato male ieri sera?"

Sospirai e appoggiai la testa sul cuscino, ma fui piuttosto conscia di quel suo continuo movimento con le dita tra i miei capelli.

"Perché ti piaccia o no, Ivan, so che hai il mio diario e so cosa vuol dire non essere ascoltato." Lo guardai negli occhi. "Ed in questo momento mi sembri proprio il tipo di ragazzo che non è stato ascoltato."

Le sue dita si cristallizzarono tra i miei capelli e  per un attimo rimanemmo avvolti dal silenzio, rotto dal solo picchiettare delle lancette del suo orologio da parete.

"Ho letto di tua mamma," disse quasi con vergogna e non potei biasimarlo. "Ho letto la tua sofferenza e..."

Non mi arrabbiai. Ivan era fragile in questo momento e non sapevo per quanto avessi l'opportunità di osservare quel suo lato umano. In quei due anni in cui era arrivato, aveva sempre rappresentato la perfezione; il classico principe di ghiaccio che tutti si aspettavano fosse, ma quali erano i suoi segreti? Io volevo conoscerli tutti.

"E?" Abbassai il tono di voce per rendere il discorso più colloquiale.

"E mi ci sono ritrovato, Gaya." Mi osservò con aria colpevole e spaurita e fu lì che vidi il vero Ivan, un Ivan che si premurò di cancellare qualche secondo dopo. "Ma se credi che mi scuserò, non è così." Scrollò le spalle e non ammorbidì i lineamenti. "Ho bisogno di quel diario."

Resilienza | THE NY RUSSIAN MAFIA #4Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora