II

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Gayaniya Preobrazhensky, Istoricheskaya Akademiya, Mosca-Russia.

Chiusi la porta dei dormitori del dipartimento dell'arte e serrai le palpebre. Che diavolo di problemi avevo?! Oh, sì, per la verità quasi tutte! Dio, ero più patetica di una quindicenne con una crisi ormonale.

Mi chiusi nella mia stanza affacciandomi alla finestra che dava sul giardino e feci vagare lo sguardo sulla distesa erbosa verde brillante; poco più in là, vi era il dormitorio del dipartimento di storia e di legge, e dopo quell'angolo a destra gli altri due.

L'Accademia aveva una forma di rosa ed era stata costruita in stile gotico, fin troppo gotico e con il trascorrere degli anni era diventata sempre più lugubre e spettrale; in più, ora che ci avvicinavamo all'inverno, la costruzione assumeva degli strani toni grigiastri e tristi.

"Triste e dannatamente cupa," brontolai.

Mi diressi verso la doccia con la scottatura della vergogna ad infiammarmi ancora le guance, e feci giusto in tempo ad indossare di nuovo la divisa, che la campanella per la cena suonò e mi ritrovai a camminare verso la sala in cui si consumavano i pasti.

Giunta lì, mi accomodai vicino ad Anna, ma decisi di non raccontarle nulla. Anna non conosceva tutto di me e forse, a dirla tutta, non mi conoscevo neanche io fino in fondo. Avevo solo un diario su cui scrivevo tutto quello che mi passava per la testa e forse scrivevo anche troppo. A casa mi avevano sempre dato dalla disadattata, ma la verità era che-

"Signorina Preobrazhensky."

Sollevai la testa di scatto e osservai instupidita il professore di matematica.

"Sì?" Mi schiarii la voce.

"Ho bisogno di parlare in privato con lei."

Mi sollevai dalla sedia ed evitai gli sguardi dei curiosi. Mia madre. Sicuramente era opera di mia madre.

"Professore?" Domandai a bassa voce con titubanza. "Professore posso sapere se è mia madre?"

"È sua madre," rispose il professor Rhayna senza nessuna particolare inflessione della voce. "Ora tieni il passo."

Deglutii più forte ed abbassai il capo. Mia madre. Come descriverla? Una russa d'eccezione, narcisista e a dir poco fredda. Una madre? Per niente. L'avevo udita una volta parlare di me alle sue amiche ed era inutile dire che mi aveva denigrato nei modi peggiori; era la mia vera madre? No di certo e fosse stato per lei mi avrebbe regalato ad un orfanotrofio, ma purtroppo ero la prima figlia del cancelliere Preobrazhensky e non poteva abbandonarmi per strada.

Senza pensare oltre alla mia condizione, entrai nella stanza indicata dal professore e mi addossai alla prima parete disponibile. Non le avrei mai dato la possibilità di colpirmi alla schiena, nella sua vita l'aveva fatto già fin troppe volte e non volevo trasformare quella sua abitudine in rito.

"Ciliegina." La sua voce stridula mi fece sussultare e d'improvviso, l'insieme di pelliccia beige si trasformò in mia madre. "Come stai?"

Come se gli interessasse qualcosa pensai.

"Bene," pigolai e abbassai lo sguardo per non incappare in quegli occhi verdi magnetici. "Bene, grazie."

Le sue scarpe laccate rosso sangue entrarono nel mio campo visivo e d'istinto mi ritrassi ancora di più. La sua mano fu più veloce e mi prese la mascella.

"Come sta andando, ciliegina?" Il tanfo di vodka mi stordì al punto di dover quasi tossire, ma trattenni il fiato e cercai di non soffocare. "Sei sempre stata una disgraziata, hai almeno ottenuto la parte principale?"

Resilienza | THE NY RUSSIAN MAFIA #4Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora