XIV

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Gayaniya Preobrazhensky, Istoricheskaya Akademiya, Mosca-Russia.

All'ora di pranzo nessuno dei ballerini si preoccupò di indossare la divisa. Feci in tempo solo a sciogliermi i capelli, coprirmi con una felpa per non raffreddarmi troppo, sistemarmi il gonnellino sopra al body accollato e riversarmi nei corridoi dell'Accademia. Indossavo ancora le scarpette da punta, quando insieme ad Anna e tutti gli altri compagni piombammo in mensa.

"Forza, Gaya." Anna mi tirò per il braccio e per poco non scivolammo entrambe sul pavimento liscio della mensa. "Forza, forza."

Tutti i ragazzi si scansarono ed ebbi solo il tempo necessario per captare tre figure imponenti e sconosciute nella tavolata del Dipartimento di Legge, prima che Anna mi saltasse addosso.

"Oh, mio Dio, oh, mio Dio!" Mi strozzò e barcollai in avanti colta impreparata; cercai di farmi spazio tra la massa di ballerini, più o meno contenti, per riuscire a vedere il cartellone. "Gaya, Gaya, guarda."

E finalmente riuscii ad accedere alla lista di nomi. Con le gambe tremanti mi avvicinai quel poco per essere in grado di leggere le due parole scritte di fianco al mio nome: Clara Stahlbaum. Mi portai le mani alla bocca e sfarfallai le palpebre, una, due, tre volte, fino a quando un potente e sovrastante calore mi invase la cassa toracica. Il sogno di tutta la mia vita poteva davvero avverarsi. Era un piccolo passo. Un piccolo passo verso il Bolshoi e la mia libertà.

"Chi ti sei scopata per avere quel posto?" La voce di Kalisa fu un sussurro glaciale che mi strisciò lungo la spina dorsale. "A chi hai aperto le gambe, puttanella?"

Mi girai verso di lei e sollevai il mento.

"Non ti permettere." Feci un passo in avanti e riuscii a scorgere una scintilla di sorpresa. "Non osare." Strinsi i denti.

"Oh, non devo osare?"

La sorpassai, perché non volevo che Kalisa mi rovinasse il buon umore, ma non appena feci un passo oltre la sua spalla, avvertii un potente strattone lungo i capelli e una fitta al cuoio capelluto. E non ci vidi più. Carina, sì. Educata, anche. Rispettosa, il più delle volte. Pacata, quando la situazione lo avesse richiesto, ma non ingenua, non così ingenua da farmi prendere in giro davanti a tutti. Sfruttando il fatto che le suole delle scarpette da punta scivolassero su quel pavimento, girai su me stessa e tirai un pugno sulla guancia della mia sorellastra. A quel mio scoppio, tutto successe velocemente e mi ritrovai bloccata tra le braccia di Anatol.

"Lasciami, Anatol." Iniziai a scalciare così forte, che per poco non mi si spezzò la spina dorsale. "Lasciami."

"Ehi, ballerina, ti conviene stare calma." Il suo sussurro fu un avvertimento. "Non fare niente."

"Non mi interessa nulla d-

Ma la voce di Ivan squarciò il cicaleccio eccitato dell mensa, perché tutti erano sempre esaltati dal fatto che Kalisa prediligesse i litigi in mensa e le uscite melodrammatiche.

"State tutti zitti." Non gli servì sollevare di granché il tono di voce; anzi, tutti si ammutolirono di colpo nonostante lui non avesse urlato per nulla. Addirittura gli ultimi posti della tavolata sportiva si zittirono. "Che a nessuno venga in mente di aprire bocca." Perché per fortuna il mio attacco si era svolto in quei canonici dieci minuti in cui i professori non avevano ancora raggiunto la mensa. "O ne risponderà a me, e credo che nessuno di voi abbia voglia di vedersela con me."

In quel momento feci fatica a non sbavare. Ivan era così autoritario, così sicuro, così carismatico, girai il capo per scacciarmi l'immagine di lui in jeans e a petto nudo sul mio letto, quando incontrai le espressioni dei due fratelli. Il biondo, che aveva un ghigno grosso come una casa stampato sul volto, mi sollevò le sopracciglia, mentre l'altro, quello che al ricevimento aveva evitato che perdessi la testa, mi fece segno di quietarmi. Seguii il suo consiglio e focalizzai la mia attenzione sul terzo, che a sua volta controllava quasi in maniera paterna e apprensiva Ivan.

Resilienza | THE NY RUSSIAN MAFIA #4Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora