XII

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Ivan Matvej Ivanov, Istoricheskaya Akademiya, Mosca-Russia.

Resilienza, la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi; avrebbe potuto piegarsi, deformarsi e modificarsi, ma non si sarebbe rotto. Applicata al genere umano veniva intesa come la capacità di un individuo di affrontare o superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. La capacità di ricostruirsi. Aveva dunque una connotazione positiva.

La ragazza che avevo tra le braccia rappresentava il concetto di resilienza. Non io, che mi ero dovuto impasticcare quasi fino all'overdose per superare i miei problemi, di gran lunga differenti da un computer rotto, un'umiliazione o un episodio di bullismo, ma quella piccola ragazza dai capelli lunghi come Pocahontas aveva un non so che di resiliente. Una sfumatura di forza e testardaggine che mi attirava verso di lei.

Avevo letto parte del suo primo diario, di come suo padre avesse scaricato la madre per una donna più influente e più forte, e mi ero ritrovato a leggere le righe per tracciare similitudini tra la mia storia e la sua.

"Mia madre era molto malata," sussurrai al buio di quel corridoio secondario. "Ha più volte e ripetutamente cercato di uccidere i miei fratelli quando erano molto piccoli e se stessa." Deglutii e la percepii trattenere il respiro. "Suicidarsi quando era incinta, così da portarci con lei ovunque sarebbe andata." Le parole mi bruciarono in gola. "Mio padre l'aveva rinchiusa nella sua stanza e condannata alla pazzia." Mi passai una mano sul viso e me lo stropicciai. "Non l'ho mai conosciuta, so solo che Dimitri, il più grande dei quattro, ci ha salvato insieme ad Andrej."

"M-Mi dispiace." Il suo sussurro fu strozzato e si attaccò ancora di più alla mia maglietta. "M-Mi d-dispiace d-davvero Ivan."

"Anche a me. Non l'ho mai conosciuta, sono stati i miei tre fratelli maggiori a prendersi cura di me." Corrugai le sopracciglia. "No, Mikhail no, era troppo piccolo"—mi spuntò un sorriso—"ma Andrej e Dimitri, loro sì che hanno fatto la differenza."

Sospirai e mi chiesi come avrebbe potuto reagire se si fosse resa conto del grado che avevo in quella società: ero parte della famiglia reale, ero il fratello del boss. Non potevo dirglielo. Non adesso.

"Ma perchè allora sei arrivato solo gli ultimi due anni?"

Mi irrigidii alla sua domanda ingenua, ma non permisi ai fantasmi del passato di rovinarmi l'umore.

"Si tratta di una storia lunga e spiacevole, te la racconterò un'altra volta, ora devi andare a danza."

"Non ci vado," rispose testarda e si aggrappò ancora di più alla mia camicia bianca. "Proprio non ci vado."

"Beh, io avrei un processo simulato." Tentai di sollevarmi e la vidi arrossire tanto da prender fuoco. "La mia squadra conta su di me, non posso lasciare ad Anatol e Ruslan tutto il merito."

"Già." Si attorcigliò le mani. "Non credo tu possa." Adocchiò la mia camicia e fece una smorfia. "Ti ho sporcato la divisa, se me la dai te la porto domani lavata."

Inarcai un sopracciglio ironico. "Se volevi vedermi nudo bastava chiederlo." Incepiscò nei suoi passi e scoppiai in una gigantesca risata, una che non udivo da tanto. "Ci si vede in giro, Gayaniya."

E mi allontanai dalla nostra piccola alcova con un mezzo sorrisino sulle labbra, perchè avevo iniziato a gustarmi quando la mettevo in difficoltà, ma quello che la cara e piccola Gaya non sapeva, era che avevo un conto in sospeso con una persona e un po' di tempo prima della simulazione.

Agguantai il cellulare e inviai un semplice messaggio: aula est, ora. La risposta giunse dopo nemmeno un respiro. Mi incamminai tra i corridoi di quella scuola troppo lugubre per poter essere considerata un luogo piacevole dove studiare e attesi Kalisa seduto su un banco. Quando la porta della stanza si spalancò, la ragazza si pettinò i capelli e finì di applicarsi uno stupido lipgloss rosa. Odiavo quei lipgloss.

Resilienza | THE NY RUSSIAN MAFIA #4Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora