Gayaniya Preobrazhensky, Villa Ivanov, Mosca-Russia.
Mi accomodai sulla poltrona di pelle dello studio di Mikhail e il mio sguardo cadde sulla sua mano destra, leggermente martoriata. Scostai l'attenzione sulla rossa al suo fianco e per un millesimo di secondo notai una scintilla di tristezza, che però si dissolse non appena Mikhail le chiese di passargli un fascicolo.
Da come potei comprendere in seguito, Ariel aveva abbandonato gli studi a metá per poter aiutare suo marito come assistente legale e per la verità, i due si muovevano in perfetta sincronia senza parlare.
"Gayaniya, è una questione delicata."
Rizzai la schiena e annuii. "Certo, lo so."
"Ecco, vedi, ho letto i tuoi diari e per forza di cose ho dovuto cercare nel tuo passato."
Annuii e corrugai la fronte. "È questo che fa un avvocato, non è così?"
Sorrise, quasi commosso dalla mia ingenuità, ma osservai gli strani movimenti meccanici di Ariel e compresi che il discorso non si fermava lì.
"Sì, è proprio quello che deve fare un avvocato con il suo cliente, ma nei tuoi diari ad un certo punto non parli più di tua madre, posso sapere il perché?"
Mi scostai a disagio sulla sedia e mi asciugai i palmi sui jeans un po' larghi prestatimi da Lily Rose: l'unica che era così minuta da avvicinarsi alla mia fisionomia.
"Mio papà mi ha detto che è morta." Deglutii. "Poco dopo che l'hanno ricoverata."
Vidi con chiarezza l'occhiata di preoccupazione che Mikhail si scambiò con sua moglie ed attesi paziente, il più paziente possibile.
"Abbiamo, l'abbiamo cercata e lei non era morta, Gayaniya." Si allentò il colletto della camicia. "Lei era viva, ricoverata, ma viva ed è morta qualche mese fa."
Il cuore mi sprofondò dentro la cassa toracica e per un lunghissimo minuto rimasi immobile. Un cubetto di ghiaccio. Percepii con chiarezza il rivolo di sudore scivolarmi lungo il pullover. Non riuscii ad aprire e chiudere la bocca. Non riuscivo nemmeno a sollevare un braccio, ma dentro di me urlava tutto. Dentro ero lacerata.
"Gayaniya?"
Con gesti meccanici mi sollevai dalla poltrona.
"Capisco," sussurrai e mi avvicinai alla porta. "Grazie."
"Gayaniya, non-
Bloccai la porta dietro la mia schiena, così come la voce di Mikhail. Mi guardai le mani tremanti e non sapendo cosa fare, mi diressi verso la camera di Ivan, ma prima di svoltare un corridoio mi trovai di fronte ad un uomo canuto e con gli occhi gonfi.
"Oh, e tu chi sei?" Si avvicinò con un sorriso strafottente. "Chi sei dolcezza?"
Arretrai di scatto, ma il signore si mosse più veloce di me, così urlai con tutto il fiato in gola e in pochi secondi l'intera famiglia Ivanov, più qualche altro soldato, si avventò sull'uomo canuto. Un trentenne con gli occhiali e i capelli ricci mi prese per il gomito e mi allontanò dal corridoio.
"Chi sei?"
"Luca, un Enforcer, ti accompagno nel salottino, lascia che se ne occupino gli altri di Gorislav, quel deficiente non capisce nulla." Mi sorrise e notai una vaga somiglianza con Maria, ma non chiesi nulla, non avevo assolutamente voglia di imbarcarmi in altre situazioni famigliari, così mi accomodai su un piccolo divanetto e accolsi di buon grado il tè che si fece portare da qualcuno. "Bevi, è caldo."
"Grazie," sussurrai, ma non bevvi, nemmeno quando Luca si scusò e se andò dal salotto, nemmeno quando udii delle grasse urla di giubilo.
Rimasi lì, ancorata a quella tazzina di tè come se all'interno della bevanda ambrata potessi trovarci il senso della mia vita. Un senso che non esisteva più. Guardai la perfetta immobilità del liquido e per la prima volta da quando avevo abbandonato la casa dei miei genitori, mi ritrovai di nuovo con la mente nella mia stanza, isolata e sola. Piccola, indifesa e incapace di comprendere cosa stesse succedendo. All'improvviso, qualcuno fece un rumore strano, poi mi accorsi fossi io, fosse il mio singhiozzo e l'intero filo di ferro che avevo costruito intorno alla mia persona cadde, nel momento in cui Ivan varcò la soglia.
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Resilienza | THE NY RUSSIAN MAFIA #4
ChickLit[COMPLETAMENTE REVISIONATA✨] Ivan Matvej Ivanov. Un ragazzo salvato per miracolo, una vita spezzata dalle oppressioni della propria società, uno spiraglio di luce in due occhi scuri.