Capitolo 27.

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L'acqua calda scorreva con prepotenze sul corpo latteo, scivolando con velocità, fino a raggiungere il pavimento della doccia.

Il ragazzo colpito da quel getto faceva faticava nel vedere a causa dell'acqua che gli bruciava gli occhi schiusi.

Era completamente immerso da quella cascata d'acqua, sperando di lavare via ogni parte di sé, anche la più piccola. Anche la cellula più nascosta.

Sperava che l'acqua fosse in grado di lavare via tutto, anche il suo cuore e la sua tristezza.

La sua bocca bagnata era schiusa, facendo scorrere un po' d'acqua all'interno di essa, i suoi capelli erano completamente attaccati alla sua fronte, procurandogli maggiore difficoltà visiva e i suoi occhi, tenuti forzatamente aperti, ammirava la mano destra che era delicatamente poggiata sul vetro della doccia.

Solo i polpastrelli erano poggiati su di esso, mantenendo un contatto instabile. Di tanto in tanto li staccava di pochi millimetri, ma immediatamente li riappoggiava, ammirando i segni lasciati grazie al vapore che creava l'acqua calda.

Era l'unica cosa che toccava, anche se in modo leggero. I suoi polpastrelli erano l'unico legame che aveva con la realtà. Erano l'unica cosa che negavano e contraddicevano il suo pensiero, quello di sparire.

Nonostante la sua voglia di far sparire anche la più piccola parte di sé, anche quella più invisibile, c'era qualcosa che lo tratteneva lì. Qualcosa che lo portava inconsciamente a non staccarsi da quella realtà.

Fece scorrere lentamente le dita, guardando i segni che stava lasciando sul vetro appannato. Quei segni gli ricordavano i graffi sulla lavagna della sua amata, quanto odiata, scuola.

Chiuse lentamente gli occhi, impedendo all'acqua di accecarlo ancora e lasciando vincere quel bruciore che gli chiedeva disperatamente di smetterla.

Non sapeva da quanto tempo era lì. Era tanto tempo, lo poteva capire dalle dita delle mani e dei piedi completamente arricciate, ma non gli importava. Voleva solo restare lì, ascoltando l'acqua scorrere sul suo corpo.

I suoni erano ovattati, forse per l'acqua nelle orecchie o per i suoi pensieri che facevano più rumore del mondo esterno, non lo sapeva. Quell'acqua che scendeva su di lui la sentiva lontano, come se fosse un fiume udibile in un bosco silenzioso.

Non gli piaceva quel suono ovattato, lo faceva sentire male.

Era lo stesso suono ovattato che sentiva quando sveniva. Le voci che si allontanavano e il mondo che pian piano spariva.

L'unica cosa che gli faceva capire che no, non era svenuto, era il bruciore.

La sua schiena al contatto con l'acqua bruciava come un foglio di carta vicino al fuoco, per cui quel getto potente e caldo non poteva che ferirlo.

Era doloroso, in un'altra situazione avrebbe urlato, ma non quella volta. La causa di bruciore era il dolore più grande che potesse provare, facendo sembrare tutto il resto un leggero sfioramento.

Un piccolo sospiro lasciò le sue labbra, rilassandosi maggiormente. La sua schiena divenne ancora più morbida, trascinandolo in uno stato di tepore che, in un'altra situazione, l'avrebbe fatto addormentare.

Sentì il proprio respiro calmarsi, sentendosi completamente travolto da quello stato di assoluto relax. Era quasi del tutto rilassato quando, per le calma, fece ricadere le dita poggiate sul vetro, spalancano improvvisamente gli occhi scuri.

Tutti i suoni tornarono perfettamente nitidi, così come le sensazioni o i dolori. Chiuse velocemente l'acqua, non sopportando più quel bruciore lancinante.

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