31. Voglio solo proteggerti

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Era passata esattamente una settimana da quando Kendall e Denver avevano fatto a pugni, e, quest'ultimo, si era volatizzato nel nulla. Era come se fosse sparito dal mondo.
Non rispondeva alle mie chiamate, ignorava i miei messaggi, non era mai presente alle lezioni scolastiche; si era, semplicemente, volatizzato nel nulla.

Ed era la settimana successiva anche alla strana conversazione che avevo, involontariamente, origliato tra Aiden e Kendall. Insomma, ero, sì, una curiosona, ma quella sera non avevo la benché minima voglia di ascoltare nessuno, ma era stata la loro conversazione a trovare me, non il contrario. Ed io avevo continuato ad ascoltare.

Era una situazione strana, per me. Era come se fossi rimasta sola contro tutti, con al mio fianco solo Alex, l'unico che non aveva fatto altro che ronzarmi intorno, con la speranza che qualche battuta ignorante mi facesse ridere. Ed io ridevo, ma non lo facevo col cuore; era solo una scappatella per non essere appestata di domande, a cui non avrei saputo dare neanche l'elaborazione di una risposta logica e di senso compiuto.

Se non riuscivo a dare una spiegazione ai miei pensieri, come avrei potuto darla a qualcun altro?

«Oh, andiamo! Non sei mai stata così silenziosa» spalanca le braccia con fare drammatico, rifilandomi un'occhiataccia, «e tantomeno hai mai fissato così a lungo l'interno del tuo armadietto. Che succede?»

Il suo tono di voce, dapprima annoiato e al tempo stesso preoccupato, prende una nota di dolcezza. «Te l'ho già detto, Alex. Non succede assolutamente nulla, sono solo...» mi lecco le labbra, in cerca di una scusa abbastanza credibile da far morire qui la conversazione, in questo preciso momento.

Come gli spiegavo che Kendall mi ignorava completamente, che Denver era sparito nel nulla, che Karen non mi parlava, e se lo faceva cercava di svignarsela in ogni modo, con un sorriso di circostanza tirato, e il passo più lungo della gamba?
Per non parlare degli innumerevoli incontri con Javier; sembrava quassi mi seguisse, che controllasse ogni mio movimento.

Era sempre negli stessi posti in cui ero io, insisteva più di una volta a prenderci un caffè insieme, con la scusa di conoscere meglio le amiche di sua figlia, anche se ben evidente il fatto che, io e Alison, potevamo essere tutto tranne che amiche.
E con tutta la franchezza del mondo, da quando aveva pronunciato quelle parole fuori dal portico di casa sua, non avevo poi così molta voglia di parlare con lui.

Forse stavo impazzendo, ma era come se fossi io la protagonista di quella storia che aveva raccontato.

Chiudo l'anta del mio armadietto, puntando il mio sguardo sulla sua figura, «sono solo sotto stress per la scuola, ecco»
Scruta la mia figura con scetticismo, rivolgendomi una radiografia del viso come per dire "ma per chi mi hai preso?", scoppiando successivamente a ridere.

Non dura molto la sua risata, comunque. Cessa quasi immediatamente, e mi punta un dito contro, «Tu, Adelaide Parker, saresti stressata per la scuola?» socchiude gli occhi, avvicinando il suo volto al mio, «è come dire che gli asini volano. Ma per chi mi hai preso?»

Beh, non era una scusa per niente credibile. Avevo una media scolastica buona, non una delle migliori, ma in linea di massima non ero uno schifo. E poi, non mi era mai importato più di tanto. Ma nonostante ciò, non avrei mollato proprio adesso.

«Beh, sì. Cos'è, non posso essere stressata per la scuola? Sono una persona anch'io, d'altronde. E, come tale, anch'io ho diritto allo stress e all'ansia» mi stringo nelle spalle abbassando gli angoli delle labbra, iniziando a camminare verso l'aula di storia.

«Non ho negato il fatto che fossi sotto stress, ma so per certo che non è per la scuola» mi ribecca, affiancandomi, «ti conosco, in fin dei conti. E so quando le rotelline del tuo minuscolo cervello iniziano a girare» mi tocca una tempia, facendo poca pressione.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 31, 2021 ⏰

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