30. Urliamo solamente

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In casa regnava il silenzio, fatta eccezione per il rumore della pioggia, che si creava dalle tante goccioline vicine tra loro che sbattevano contro i vetri della finestra di camera mia.

Non riuscivo a chiudere occhio, e quel rumore, per quanto bello potesse essere, non aiutava di certo.
L'angoscia di essere costantemente osservata da quando avevo privato la stanza di luce rendeva tutto ancora più difficile.

Sentivo lo sguardo di qualcuno fisso sul mio corpo; lo sentivo trapassarmi il cranio, rendendomi vulnerabile, più di quanto, nel complesso, fossi già.

Per quanto volessi scostare le coperte dal mio corpo e tastare ogni angolo della camera, non riuscivo a muovermi.
Il mio corpo era immobilizzato sotto le coperte, come se esse potessero proteggermi da ogni tipo di male.

Sin da quando ero bambina, la convinzione di restare sotto le coperte con Adelaide stretta al petto, mi rendeva più sicura del fatto che mio padre mi avrebbe lasciata stare, per quella sera.

Eppure non succedeva.
Apriva la porta con forza, la sua voce ubriaca e il suo alito puzzolente riempivano la camera, il mio corpo iniziava a tremare, sovrastato dalla paura.
Lentamente si avvicinava al letto, accarezzava il mio volto, per poi colpirlo con uno schiaffo.
Dava inizio alla mia tortura con atrocità, dove prima mi accarezzava, poi mi privava di tutto quello, come a farmi comprendere che nulla è bello, che tutto nasconde un doppio fine.

Continuavo a far scattare lo sguardo in ogni angolo della camera, nella speranza di vederci qualcosa, nonostante fosse buio pesto.
Il rumore di un tuono, seguito da un fascio di luce, illumina quello spazio ristretto, dove un'ombra si fa spazio di lato la mia scrivania, vicino l'appendi abiti.

Un campanello di allarme si insedia dentro la mia mente, facendo compiere un movimento veloce al mio corpo, accendendo la luce, con un gesto fulmineo.

Punto il mio sguardo su quel punto, rendendomi conto che, evidentemente, è solo la mia mente a giocare brutti scherzi.
Di lato alla scrivania è presente solo il giubbotto che ho indossato oggi, nessun volto o corpo. Solo lui; il giubbotto.

Sento il respiro regolarizzarsi, ma nonostante ciò, non riesco a mantenere la calma.
Il costante senso di essere osservata continua a invadere il mio corpo.

Vari rumori provengono al di fuori della mia camera, e il fruscio del vento con il rumore della pioggia mi fa tremare anche l'anima.
Il fatto di essere sola, poi, non era d'aiuto.

I miei genitori erano ad una cena di lavoro, e mio fratello aveva deciso di trascorrere una giornata insieme a Jordan, un suo compagno del corso di storia.

Cerco di auto convincermi che se ci fosse qualcuno me ne accorgerei, visto che ho la luce della mia camera accesa, ma non sono sicura aiuti più di tanto.

La caduta di qualcosa mi fa girare la testa di scatto verso la porta, mentre i miei piedi toccano terra e le mie mani afferrano l'abajour, facendo ricadere nuovamente la stanza nel buio.

Cammino lentamente verso la porta in punta di piedi, incoraggiandomi sola. Di fondo sarà solo il gatto, peccato che io non abbia un gatto.

«Forza Adelaide, vedrai che sarà facile come una passeggiata.», annuisco sola, abbassando la maniglia della porta. «O facile quanto un dito in cu-»

I miei occhi entrano a contatto con dei capelli rossi. Ci fissiamo, urliamo.
Io guardo lei, lei guarda me, e nonostante abbia capito chi sia continuo ad urlare.
Urliamo solamente.

Lei smette di urlare, io continuo spalancando gli occhi.
Fa un passo avanti e mi toglie dalle mani l'abajour, stringendola al petto.

«Volevi per caso tirarmela in testa?», sussurra, avvicinando il suo viso al mio.

MANTIENI IL SILENZIO - Non avere pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora