Capitolo 38

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Sono passati anni da quando vidi Gabriel l'ultima volta.
È stato quel lunedì in cui patteggiammo di firmare le mie dimissioni.
Nessuna predica, nessuna supplica; solo la mia firma su quelle dannate carte.
Non sapevo bene quali fossero i miei sentimenti a riguardo; sapevo per certo che finalmente avrei potuto cancellare un capitolo doloroso della mia vita per iniziarne uno completamente nuovo.
Volevo sentirmi felice e per un po' mi sforzai di dimostrarlo perché avevo lottato per ottenere il mio licenziamento e non potevo mica mostrare una faccia da funerale.
Gabriel, dal canto suo, si limitava a indicarmi gli spazi sui quali porre la mia firma, con semplice tranquillità.
Non sembrava sconvolto, né irato.
Me ne chiedevo il motivo e gli rivolgevo occhiatine fugaci, come per captare qualcosa che andasse oltre la sua espressione fin troppo serena.
Continuava ad avere un atteggiamento pacato e serafico.
Decisi di non farci caso perché sicuramente si sarebbe palesato nella mia vita, con una scusa o l'altra.

Settimane dopo settimane, mi accorsi che molto probabilmente non gli importava più di me.
O meglio, provava solo in minima parte quel sentimento del passato.
Come me ne accorsi?
Scrisse delle eccellenti referenze sul mio conto e parlò delle mie "sbalorditive qualità", come mi venne riferito in seguito, a tutti i dirigenti in cerca di una buona segretaria.

Sapevo fosse colpa mia: gli avevo intimato di rimanere fuori dalla mia vita perché avevo scelto di dare una possibilità a Giorgio.
Gli avevo chiesto di troncare i rapporti con mia figlia e così è stato.
Ha rispettato le mie decisioni, si è messo da parte e ha lasciato la scena.
Risultato? Mi mancavano perfino le sue sfuriate immotivate.

Aveva ragione lui.
Nonostante tutte le cattiverie, i colpi bassi, le scenate di gelosia, io non avevo perso l'interesse per lui.
Perché quando si ama una persona, le si perdona tutto e la si accetta per quello che è, una persona fragile che ha commesso un errore ma può migliorare.
Fui un'egoista e gli voltai le spalle, credendo che sarebbe ritornato da me.
Mi mancava terribilmente e, se non fossi stata così legata al passato, glielo avrei detto, anzi urlato a pieni polmoni.

Vissi il corso della mia vita con la testa tra le nuvole, impegnata ad immaginare falsi scenari in cui Gabriel ritornava da me a chiedermi di ricominciare.
Centinaia di giorni a sperare, a piangere e a rassegnarsi.

Giorgio si accorse dei miei repentini cambiamenti d'umore che credeva fossero legati alla perdita del lavoro.
Mi rimase accanto per qualche mese, tentò fino allo sfinimento di creare un accenno di relazione d'amore.
I suoi tentativi fallirono perché, da parte mia, c'era un muro invalicabile.

"Avrei dovuto lasciar perdere. Tu meriti gli stronzi come Riva: quelli che ti feriscono, ti umiliano e ti usano come burattini" era stata la sua ultima sentenza, pronunciata dopo il mio ennesimo rifiuto a concedermi.

Gli chiesi scusa, dal profondo del mio cuore.
Lo dissi sinceramente ma a lui parve non interessare.
Mi ero comportata da persona sleale con lui e chiesi venia per averlo illuso.
Avrei voluto rimanere in buoni rapporti, volevo che almeno lui rimanesse.
Non accettò e non mi richiamò più.
Avevo fatto fuori due uomini in un colpo solo.

Sopravvissi anche a quell'ultimo abbandono poiché non avevo altra scelta.
Era finita con entrambi e non c'era verso di cambiare ciò che ormai era stato già deciso.
Avrei potuto tenermi Giorgio, fingere di avere una famiglia felice per mia figlia ma non lo feci.
Avevo già rovinato tutto e dovevo prendermene le responsabilità.

Non restai a Roma, quella città mi ricordava tutto il mio doloroso passato e non faceva altra che farmi sentire colpevole delle mie scelte.
Decisi di trasferirmi con Aurora e Arianna a Firenze, una città che ho sempre amato.
Non mi fu difficile trovare un buon lavoro, grazie alle conoscenze di Gabriel.
In pratica, alla lettura del mio curriculum restavano sbalorditi perché dicevano di conoscere quel self-made man o di averne sentito parlare.

Inzialmente, Arianna si rifiutò di parlarmi.
Non aveva condiviso l'idea di una nuova vita a Firenze perché si era già costruita il suo piccolo mondo a Roma ed era sua intenzione restarci lì.
Cominciò a comportarsi in modo sbagliato nei miei confronti e la situazione divenne talmente insostenibile che fui costretta a condurla da uno psicologo.

"Sa, questo tipo di atteggiamento è più che comprensibile. Le dia il tempo di adattarsi, è solo questione di tempo" ripeteva il dottore, prosciugando il pagamento di tutti i miei straordinari.
Avrei tanto voluto rispondergli che lo sapevo già e che pagavo le sedute di mia figlia per risolvere il problema, non certo per temporeggiare.

Tra me e Arianna si instaurò una rapporto quasi glaciale che la fece allontanare da me e persino dubitare del mio ruolo di madre.
Più volte preferí confidarsi con Aurora, piuttosto che con me.
Questo mi faceva soffrire perché me lo sarei aspettato da tutti, tranne che da mia figlia.
Lavoravo e facevo gli straordinari, senza riposarmi anche per mesi, solo per assicurargli un'istituzione adeguata e una vita da normale ragazzina.

Quando arrivò la pubertà, i nostri litigi aumentarono notevolmente.
Scappava di casa, ritornava tardi, frequentava brutte compagnie e mi rispondeva soltanto con insulti.
Fu complicato far combaciare la mia vita lavorativa con il ruolo di madre, tanto che arrivai a non dormire per interi giorni perché la mia priorità diventò pedinarla.
Sentivo che la stavo perdendo, che se non fossi intervenuta me ne sarei pentita.

Cambiai subito atteggiamento nei suoi confronti quando scoprii che frequentava un uomo molto più grande di lui: un quarantenne con due figli che aveva una discoteca in gestione (dove avvenivano stupri di massa legali)
Lei, la bambina che mi chiedeva di vedere i film della Disney, avvinghiata ad uno sporco e viscido uomo.
Non gli avrei permesso di rovinare la vita di mia figlia.

"Io lo amo! Come cazzo ti permetti di proibirmelo!" urlava ogni santo giorno.

"Tu non sai cosa sia l'amore. Sei solo una ragazzina e quell'uomo non ti ama mica! Si sta approfittando di te, non lo capisci?" le replicavo, sul punto di tapparmi le orecchie e chiuderla a chiave nella sua stanza.

"Ah si, perché tu sai cos'è l'amore! Tu allontani qualunque persona che è al tuo fianco. Non ti ricordi di Gabriel?" domandò, con la voce soffocata dalle lacrime.

Da quel giorno, la misi in punizione, le sequestrai il telefonino, le impedii di uscire con persone che non conoscevo come i palmi delle mie mani e le proibii di rivedere quell'uomo.
Più volte decise di ingannarmi ma ne pagò le conseguenze.
Se prima era una madre distratta e impotente, mi trasformai in una vera e propria SS.
Ad ogni menzogna, corrispondeva una punizione.
Non che fosse facile per me lasciare i sentimenti da parte per fare la parte della dura e dell'insensibile.
Dovetti farlo e ci riuscii, perché amavo mia figlia più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Valutai di trasferirmi nuovamente, tuttavia, anche grazie alla buona riuscita delle mie azioni, cambiai idea.

La vita tornò ad essere più semplice e mi sembrava quasi di toccare il cielo con le dita.
Mia figlia ricominciò a considerarmi sua amica e tutto andò per il verso giusto.
Dopo la conclusione delle superiori, andò a studiare a Torino ma la distanza non ci creò problemi.
Rimase sempre in contatto con me e Aurora e ci disse di aver trovato un ragazzo dolcissimo.
Io e Aurora ne fummo contente e, vista la sua assenza, ritornammo ad essere due giovani donne single.
Aurora era rimasta attaccata a quel giovane infermiere che le aveva donato un anello per il fidanzamento.
Tuttavia, dopo il trasferimento a Firenze, la loro relazione venne ridotta a brandelli e, seppur con grande sofferenza, finirono per lasciarsi.

La mia coinquilina fu la prima a propormi di organizzare appuntamenti con altri uomini però io rifiutai sempre.
Avevo sperimentato l'amore in mille modi e preferivo accontentarmi soltanto di mia figlia.
Certo, avrei gradito la compagnia di un uomo ma, dopo i colpi incassati, preferivo lasciar perdere.
L'unica preoccupazione della mia vita era il bene di mia figlia.

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