Capitolo 30

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Rimasi a fissare il messaggio aperto sullo schermo del mio cellulare.

Lì per lì non mi ero fermato a pensare, avevo risposto d'impulso e guidato dal nervosismo di quella giornata. Quando Tiffany e Robert se n'erano andati, il pomeriggio prima, mio padre era venuto in camera ringraziandomi sarcasticamente per aver quasi buttato tutto all'aria. Nel giro di pochi minuti ci eravamo ritrovati a gridarci contro con più grinta di quanto fosse mai successo e, proprio quando avevo deciso di far uscire tutta la mia rabbia repressa, avevo visto la notifica del messaggio che Elizabeth mi aveva scritto per sapere cosa fosse successo. Mi ero sentito soffocato, mi era sembrata solo l'ennesima persona che voleva farsi gli affari miei, perciò le avevo risposto come avrei risposto all'uomo davanti a me. Avevo appena bloccato lo schermo del mio cellulare quando si era illuminato di nuovo per avvertirmi di una chiamata in arrivo. Come se nulla fosse, avevo girato il telefono ed ero tornato a rivolgermi a mio padre.

Non ti devo mica dire tutto ciò che faccio.

Quelle nove parole mi avevano torturato per tutta la mattina ed ero ogni minuto più consapevole del casino in cui mi ero andato a cacciare.

Derek mi stava raccontando da cinque minuti una storia di cui non avevo seguito neanche una parola, perciò eliminai il messaggio, rimisi il cellulare in tasca e lo guardai annuendo. Avevo sentito Elizabeth arrivare a casa svariati minuti prima. La porta della sua stanza si era chiusa e non si era più riaperta. La consapevolezza che fosse a solo qualche muro di distanza da me, aumentava la tensione dell'attesa.

Ero talmente assorto nel mio panico, che sobbalzai quando con la coda dell'occhio notai che una terza persona aveva raggiunto me e Derek in cucina. Elizabeth afferrò un mandarino e ci affondò dentro le unghie con movimenti scattosi per togliere la buccia.

Le opzioni erano due e avrei dovuto scegliere in fretta. Opzione numero uno: chiederle di parlare in privato, spiegarle ciò che era successo e scusarmi. Opzione numero due: non so nulla, non ho visto nulla, non ho fatto nulla, è tutto un fraintendimento.

Mi bastò un'altra occhiata al suo viso imbronciato per cedere alla tentazione della seconda opzione. Comportati come sempre. Presi un respiro tremante, feci una smorfia e – quando uno schizzo di mandarino le finì nell'occhio- colsi la palla al balzo e mi lasciai sfuggire una risata.

Elizabeth lasciò cadere per inerzia le mani sul tavolo e si voltò verso di me con uno sguardo fulminante. <<Che hai da ridere?>>

Per un istante mi sembrò di essere tornato alle prime settimane in casa Jonson. Alzai le mani in aria e allargai il mio sorriso, pregando dentro di me che credesse a quella farsa. <<Scesa dalla parte sbagliata del letto stamattina?>>

Aprì la bocca per ribattere ma la richiuse pochi secondi dopo senza dire nulla. Strinse i denti, recuperò il frutto dal tavolo e si voltò facendo ondeggiare i capelli castani dietro alla schiena. Al rumore della porta della sua stanza che si chiudeva, strinsi gli occhi e lasciai uscire un sospiro.

<<Che mi sono perso?>> intervenne Derek dopo qualche momento di silenzio teso.

Lo guardai affranto ma, prima che potessi decidermi su una risposta, Elizabeth riuscì dalla sua camera. Mi alzai di scatto dalla sedia e la raggiunsi in salone mentre infilava con rabbia le braccia nelle maniche di una giacca.

<<Dove vai?>> chiesi provando a non far trapelare il tumulto delle mie emozioni.

<<In biblioteca>>

La seguii fino alla porta. <<Che ti prende?>>

Girò la maniglia e mi si strinse lo stomaco. Il mio piano non stava funzionando, se possibile stava addirittura peggiorando il tutto.

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