Capitolo 9

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Affondai il viso tra le mani, tappandomi le orecchie come se ciò mi avrebbe aiutato a silenziare i miei pensieri e concentrarmi sullo studio. Era la quinta volta che rincominciavo da capo a leggere il sonetto di Shakespeare stampato sulla pagina del mio libro scolastico, ma la mia mente continuava a tornare a ciò che avevo letto qualche ora prima.

Per i quattro giorni successivi alla cena con la squadra di calcio la situazione tra me ed Elizabeth era rimasta pacifica e tranquilla. Niente lacrime, battute acide limitate rispetto al solito. Quando quel pomeriggio però era andata a studiare fuori con le sue amiche, non ero riuscito a scacciare il desiderio di riaprire il cassetto dove la settimana prima avevo trovato la foto con il padre e approfondire la questione. Così, dopo aver spiegato a Derek che non importava quanto si lamentasse del fatto che i suoi capelli fossero troppo lunghi perché tanto non glieli avrei tagliati ed averlo spedito a farsi la doccia, mi ero ritrovato nella stanza della sorella.

Non ero particolarmente fiero di quello che avevo fatto, ma ormai era troppo tardi per cambiare le cose. Avevo preso il diario in pelle marrone che avevo intravisto la volta precedente e dei fogli disegnati. Ero rimasto colpito dalle illustrazioni, che notai essere datate ad almeno cinque anni prima. Avevo presto scoperto, inoltre, che il diario non racchiudeva pensieri o racconti della sua vita, bensì lettere. Lettere indirizzate al diario stesso, ma pur sempre lettere.

Erano tutte lettere scritte nella primavera del 2010 e veniva spesso nominata una certa signora Muller, una psicologa, che pareva la stesse costringendo a scrivere quelle parole. Nelle pagine bianche e spesse Elizabeth parlava della rabbia che sentiva in corpo, di come nessuno la capisse. La parte che più mi era rimasta impressa era diretta al fratello. Vorrei tanto essere il piccolo Derek: lui ha solo un mese, non ha ancora capito quello che questo crudele mondo può fargli. Vorrei andare lì e gridargli in faccia di non fidarsi mai di nessuno, perché le persone delle quali ci si fida di più ti abbandoneranno. Avevo riletto quelle parole una decina di volte, capendo ogni rilettura di più i comportamenti attuali della ragazza.

Ero arrivato a iniziare a leggere la terza lettera e a vedere scritto il nome di Jake prima che Elizabeth entrasse in stanza e mi iniziasse a gridare contro. Mi aveva cacciato in corridoio e mi aveva sbattuto la porta in faccia, ma io non mi ero mosso nemmeno di un passo. Dopo una decina di minuti passati a fissare il legno bianco e a sentire movimenti all'interno della camera, avevo bussato chiedendo di entrare. L'avevo trovata a terra, circondata dai propri disegni sparsi per la stanza come se fossero stati lanciati in aria e lasciati ricadere, a leggere il diario. Avevamo avuto la stessa conversazione delle volte precedenti in cui l'avevo vista star male: le avevo offerto il mio aiuto e lei si era buttata sui commenti ironici. Alla fine, però, mi aveva supplicato di smetterla di frugare nel suo passato.

<<Non è facile andare avanti se ti ostini ad aprire la stessa porta che continuo a chiudere da cinque anni>> aveva detto. <<Davvero. E' frustrante questa situazione. Da quando sei arrivato in questa casa ti ho ripetuto troppe volte di starne fuori, non ce la faccio più. E' stancante dover stare così ogni giorno. Non ce la faccio più a litigare e far pace e piangere e litigare e far pace e piangere>>

<<Ci proverò, ma non ti prometto niente>> le avevo detto in risposta, ma in realtà avrei potuto pure giurarglielo: non avrei più volontariamente frugato nel suo passato. Vederla esausta davanti a me e sentirla supplicare, abbassare per un istante l'immagine di durezza, mi aveva fatto sentire uno schifo di persona.

Ora mi trovavo nella mia stanza, davanti al libro di letteratura inglese, provando a memorizzare i versi di quel benedetto sonetto e muovendo ritmicamente la gamba. Il resto della casa era silenziosa , tutti dormivano già: il lavoro combinato agli allenamenti mi stava costringendo a studiare dopo cena – che tra l'altro era trascorsa in un silenzio di tomba come tutte le precedenti che c'erano state dalla litigata con mio padre in poi.

Non mi aspettavo di trovare teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora