Capitolo 31

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Colpii il pallone davanti a me con quanta più forza riuscissi a tirare fuori dal corpo. Jake lo bloccò senza troppi problemi, ma non mi passò inosservata l'occhiata laterale che mi riservò.

Nell'ultimo periodo gli allenamenti non stavano andando bene. Ognuno di noi aveva troppi pensieri per la testa e ciò stava diventando un problema. Quando il portiere della squadra si era lasciato rotolare tranquillamente il pallone vicino alle caviglie senza bloccarlo e si era giustificato dicendo che stava ripassando a mente le formule di matematica, il coach aveva perso l'ultimo straccio di pazienza che gli era rimasto e ci aveva gridato contro fino a quando non era stato costretto a smettere da un attacco di tosse.

<<Se giocate come ragazzini, allora vi farò allenare come ragazzini!>> era riuscito a sbraitare riprendendo aria. <<Passaggi a coppie per il resto dell'ora. Non fare quella faccia Lewis, non me ne frega un accidente se è noioso>>

Prima di andarsi a sedere sugli spalti, aveva bofonchiato i nostri cognomi assegnandoci il compagno di coppia con cui ci saremmo dovuti allenare. Era così che ero finito davanti a Jake, con cui non parlavo dalla nostra litigata.

Feci una smorfia quando venni colpito al polpaccio da uno dei palloni. Mi voltai in tempo per vedere Jason dire a Tod che parava peggio di una bambina di cinque anni. Quando incontrò il mio sguardo, diventò immediatamente serio e storse la mandibola in un'espressione infastidita.

Tornai a voltarmi verso Jake, che colpì a sua volta il pallone. Erano ormai venticinque minuti che ci trovavamo l'uno di fronte all'altro senza guardarci né parlarci. Il silenzio però non mi dispiaceva: quel giorno non ero in vena di chiacchiere.

La conversazione con Tiffany della sera prima mi aveva tenuto sveglio fino all'una e mezza di notte. Le cinque ore e mezzo di sonno non erano bastate per scacciare via il fastidio che mi aveva trasmesso; fastidio che era solo aumentato quando mio padre mi aveva informato che di lì a pochi giorni si sarebbe tenuta una festa a casa nostra e che si augurava che per allora fossi tornato con la testa sulle spalle. Tutte quelle emozioni negative, andavano a sommarsi all'incertezza del mio rapporto attuale con Elizabeth, la quale nei corridoi si era limitata a salutarmi con un cenno del capo e a dirmi senza alcun cenno di allegria che – d'accordo – il pomeriggio avrebbe fatto lezione di guida con me.

Tenuto conto di tutto ciò, perciò, non mi dispiaceva poi troppo il fatto che l'imbarazzo tra me e Jake bloccasse ogni possibile inizio di conversazione.

Immerso nei miei pensieri, non vidi il pallone superarmi e feci un cenno di scuse al mio compagno prima di andare a recuperarlo.

<<Sei distratto oggi>> commentò Jake una volta che ebbi riportato la palla davanti ai miei piedi.

Mi azzardai a osservarlo per un istante: si guardava attorno con la fronte corrugata e lo sguardo vago.

<<Ho mancato solo qualche tiro>> mi difesi riportando la mia attenzione al pallone, colpendolo. <<Ora mi concentro fino a quando non finiamo questo stupido allenamento>>

<<Non ti stavo accusando>> ribatté.

<<Sembrava.>>

Mi resi conto che nel paio di settimane precedenti eravamo diventati sconosciuti. Non c'era più alcun segno di naturalezza tra noi, nessuna confidenza. Parlargli mi procurava uno strano prurito lungo il corpo, un disagio.

Era strano come era bastata una discussione per cancellare anni di amicizia tra noi. D'altronde, però, avevo sempre saputo che Elizabeth fosse il suo punto debole. Semplicemente non mi ero mai reso conto di quanto distruttivo fosse come argomento.

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