Capitolo 35

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Oliver

<<Pronta?>>.

Evelyn mi fissava con occhi sbarrati e terrorizzati, mentre si mordicchiava la pellicina intorno alle unghie.

No, decisamente non era pronta, e come biasimarla? Da quello che mi aveva raccontato, Josephine Mayer non aveva reso minimamente facile alla figlia ammettere che per mesi le avesse nascosto forse "La" catastrofe del secolo, ciò che avrebbe definitivamente distrutto il buon nome della famiglia. E sì, a scarso di equivoci, si stava chiaramente riferendo alla nostra relazione. Isabelle era stata fondamentale in quel dibattito, Evelyn era rimasta più di una volta muta di fronte alle accuse della madre che la sorella minore aveva spesso ritenuto esagerate. In fondo - come questa aveva più volte ripetuto - se non era lei la prima a prendersela, che cosa poteva importare alla gente? 

Io non c'ero durante questo colloquio da fine del mondo, Evelyn aveva ritenuto più saggio parlare prima con la propria famiglia, che darle il colpo di grazia senza pietà. Avevo accettato con reticenza ma solo perché conoscevo bene Josephine. Infatti, questa aveva massacrato la figlia con le solite argomentazioni: cosa dirà la gente, i giudizi dei vicini, per non parlare dei loro amici. Evelyn era più che certa che nel giro di qualche istante avrebbe avuto un infarto. Era stato Oskar, per mia grande sorpresa, a mettere fine ai deliri della moglie. Non l'avrei mai pensato, di solito ne era fortemente succube. Anche Evelyn ne era rimasta colpita ed aveva ascoltato in silenzio ciò che il padre aveva da dire. Non mi aveva riferito le sue parole, però mi aveva confidato che l'avessero lasciata con le lacrime agli occhi per la commozione. Non avrebbe mai pensato di sentire parlare suo padre in quel modo. Un'ora dopo era uscita dalla sua vecchia casa con il cuore più leggero ed un inspiegabile invito a cena. 

Cena a cui stavamo per recarci, nonostante Evelyn sembrasse più propensa a svenire da un momento all'altro.

<<No, Oliver, forse è meglio rimandare. Tra quindici o vent'anni magari. Mia madre per allora se ne sarà fatta una ragione>>. Gesticolava in modo animato sul punto di avere una sincope. 

La osservai divertito anche se terrorizzato quanto, se non più di lei. Sarei stato giudicato dal primo istante in cui avrei messo piede in quella casa. O forse anche prima di entrarci. Ed ero certo che almeno uno dei genitori di Evelyn non mi avrebbe dato neppure il beneficio del dubbio. Lascio immaginare chi.

Mi avvicinai alla mia splendida ragazza che per l'occasione - o molto probabilmente per tenersi occupata e non pensare alla serata - si era arricciata i capelli, che ora morbidi le ricadevano sulle spalle. Le posai le mani sulle spalle e le diedi un bacio sulla fronte. 

<<Fai un respiro profondo>> le consigliai. Lei posò il capo sul mio petto e con l'orecchio appoggiato sul mio cuore, sospirò.

<<Parli tu, che sembra che stai correndo una maratona?>> mi punzecchiò.

<<Uno dei due deve mantenere apparentemente la calma>> le feci presente, con un sorriso.

Evelyn alzò lo sguardo e lo puntò su di me. I suoi meravigliosi occhi scuri sembrarono per un istante leggermi dentro. Mi sentii nudo per un tempo quasi infinito, mentre speravo che non vedessero quanto in realtà fossi nel panico. Non era ciò di cui aveva bisogno in quel momento.

Poi, imprivvisamente, si alzò in punta di piedi e mi lasciò un tenero bacio sulle labbra che ricambiai con trasporto. <<Sei sicuro di volerlo fare? Non sei obbligato a sottoporti a questa udienza da famiglia di pazzi, perché sappiamo entrambi come finirà>>. La sua espressione da cucciolo rassegnato mi strinse il cuore.

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