24· mercoledì

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Appena la porta si aprì, scorsi la figura minuta di mia madre, affiancata a quella poco più imponente del mio bullo.

Vederla così vicina alla persona che mi aveva causato così tanta tristezza, facendo soffrire di conseguenza anche lei, mi faceva uno strano effetto.

«Torno di sotto che ho da lavorare, voi fate i bravi e studiate» disse rivolgendomi uno sguardo ammonitore, che si sciolse in un sorriso non appena si voltò verso Changbin. «Non si preoccupi signora» rispose lui, sorridendole di rimando.

«Sono felice mio figlio abbia trovato un così bravo ragazzo come amico» sorrise ancora, prima di lasciare la stanza «E la prossima volta invita Chan, sono certa gli farebbe piacere conoscerlo» aggiunse ormai sulle scale.

Changbin chiuse la porta e si tolse lo zaino di spalla, senza però poggiarlo sul pavimento, continuando a sorreggerlo per una cinghia.

Mi girai sull'altro fianco e tornai a guardare fuori dalla finestra, l'ultima cosa che volevo era guardarlo in faccia. Ero certo non sarebbe venuto dopo avermi fatto piangere quella stessa mattina, ma mi sbagliavo.
Mi si appesantì il petto al solo ricordo delle sue parole.

Come aveva potuto chiamarmi a quel modo dopo tutto l'aiuto che stavo cercando di dargli? Certo, il patto prevedeva che lui smettesse di tormentarmi dopo essere riuscito nel suo intento, ma questo non significava che dovesse essere scortese nel mentre.

Avevo chiuso un occhio fin troppe volte, pensando di avere il coltello dalla parte del manico, ma mi ero reso conto che quello che tenevo io era nient'altro che un coltello di plastica, la cui lama non valeva un fico secco.

Sei davvero giù Lee, le tue metafore sono tremende.

Non gliela avrei lasciata vincere, non dopo come si era comportato, se voleva fare le sue lezioni di educazione sessuale che se ne andasse a pagare un insegnante qualificato.

«Ce l'hai un computer?» chiese il ragazzo, riportandomi alla realtà.
«Tornatene a casa».

Nessuno dei due disse altro. Restammo in silenzio con il rumore della pioggia in sottofondo.

Fu Changbin che si decise a rompere il silenzio «Mi dispiace per oggi»
«Dici così solo perché vuoi il mio aiuto»
«Sono serio, mi dispiace,» si schiarì la gola prima di riprendere «io e te abbiamo un accordo ed io non l'ho rispettato, mi dispiace» ripeté.

Rimasi in silenzio. Cosa avrei dovuto farmene delle sue scuse?

Fu solo alla frese successiva, che mi decisi a guardarlo dritto in volto «Non sono qui per una lezione...»
Gli occhi erano scuri e ridotti a due fessure, il taglio sotto l'occhio appena visible nella poca luce della stanza, la mandibola tesa come sempre. Non sembrava scherzasse.

Mise una mano nella tasca interna della giacca e ne tirò fuori la scatola di un DVD «Ho noleggiato un film, possiamo... Guardarlo insieme? Se ti va, intendo, non è che devi, potresti, potremmo...» s'ingarbugliò, facendomi alzare entrambe le sopracciglia dallo stupore «Come, scusa?»

«Non fare quella faccia,» fece un passo avanti «guarda che non sono stupido, lo riconosco quando mi comporto da idiota, il fatto che di solito non me ne importa è un'altra cos-»
«E perché adesso dovrebbe importartene?» lo interruppi prima che potesse proseguire. Più lo sentivo parlare più la confusione nella mia testa s'infittiva.

Changbin si morse l'interno della guancia. Non sembrava per niente a suo agio, e la cosa non mi dispiaceva affatto.
«Senti, lo so anche io che è strano che ti chieda una cosa del genere, ma sono uno di parola io, e non aver rispettato il patto mi infastidisce, va bene?»

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