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Ritrovarmi ogni giorno dentro quell'inferno diventava sempre peggio.

Soprattutto quando la guardia che preferivo mi aspettava davanti al mio ufficio con il mio solito caffè freddo con caramello e un volto stramortito dall'estenuazione.

«Sono appena andati a prenderlo.» annuii, consapevole di quella notizia. «Spera che oggi ti parli, questo posto è una vera carneficina.» il mio sopracciglio destro si inarcò di conseguenza.

Sapevo cosa succedesse ai carcerati quando erano controllati dalle guardie più crudeli – quelle come Shoupe – e non lo auguravo a nessuno. Ma perché ribadirlo proprio in quel momento? Cosa era successo di tanto grave?

«Che vuoi dire? Spiegati meglio Jonah.» ordinai duro, afferrando il mio caffè.

«Qui pensano che l'ira umana debba essere riversata su qualcuno.» inclinai la testa inorridito per quella dichiarazione. «È stato picchiato a sangue dai miei colleghi, e sai meglio di me da chi precisamente, per non aver risposto ad alcune domande.»

«Domande di cui sappiamo il tipo.» mi limitai a sibilare, tremante dalla rabbia.

Salutai gentilmente Jonah, augurandogli una buona giornata dopo il turno notturno, poi entrai nel mio ufficio con a seguito Noah Mancini e le due guardie. 

«Esca immediatamente.» fui fermo sulla mia richiesta, in piedi accanto alla mia scrivania mentre il mio paziente venne spinto crudelmente verso la sedia.

Shoupe sorrise diabolico, poi scrollò le spalle come se la questione non gli interessasse; sapevamo tutti in quel luogo quanto lui fosse più curioso di una becera di novant'anni in un quartiere di scoop.

«Sa le conseguenze.» sapevo che Noah non mi avrebbe fatto del male, questo sapevo.

Presi posto con calma dietro la mia scrivania quando le due guardie si chiusero la porta alle spalle, sorseggiando il mio adorato caffè e salutando il mio paziente dopo quel piccolo scenario a cui aveva dovuto assistere.

«Sono riuscito ad ottenere il permesso per far uscire anche lui.» nel frattempo presi il registratore e lo avviai, posizionandolo sempre nello stesso posto. «Dottor. Nick Jones, sedicesimo colloquio con il paziente Noah Mancini.» presi un altro sorso.

«Cosa vuole da me oggi strizzacervelli?»

Avevamo fatto passi da gigante da quando le guardie uscivano dalla stanza e la cosa mi rasserenava, anche se mi ci era voluta una settimana buona per permetterlo.

«Ha partecipato a diversi incontri di boxe clandestini solo quando era all'inizio della sua fase adolescenziale.» mi ritrovai a dire, afferrando dalla mia borsa da lavoro la sua cartella. Quella che mi era stata fornita dall'avvocato.

Avvocato che mi aveva convocato un tre mesi prima quando aveva capito che Noah Mancini aveva deciso di andare avanti dentro quell'inferno senza aprire bocca con nessuno. Ed era stato difficile riuscire in quella missione, era un compito davvero arduo!

«E ho vinto alla maggior parte di questi, sì.» si guardò le manette ai polsi, provando a giocherellarci.

«E ora vogliono condannarla per omicidio.» mi fermai a leggere quelle pagine coperte di inchiostro nero. «Come siamo passati dalla boxe all'omicidio? È per caso un assassino signor Mancini?» non incontrai il suo sguardo finché non finii di leggere tutte le sue accuse.

«Che differenza fa se lo sono o meno?» i suoi occhi per la prima volta erano puntati sui miei, azzurro contro nero. «È come un'assassino che vogliono rappresentarmi.» assottigliai lo sguardo, sporgendomi con il busto verso di lui.

«Voglio la verità.» ringhiai con tutta l'autorità che sapevo di possedere. «È da due mesi che lavoro con lei, ma credo di conoscerla più di quanto lei possa credere.» in quel momento capii perché un suo sorriso veniva descritto così inquietante.

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