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Le cose al lavoro stavano peggiorando.

Dipendenti che si licenziavano per il basso stipendio e i modi in cui venivano trattati dai colleghi, gli assistenti che preferivano chiacchierare sulle loro vite piuttosto che aiutare i propri superiori e il castello pronto a chiudere definitivamente entro qualche mese.

Stava andando tutto in rovina e Miguel e la tirocinante nel mio reparto non mi aiutavano con le loro solite frasi motivazionali tipiche dei biscotti della fortuna.

Il castello avrebbe chiuso e francamente non mi sarebbe dispiaciuto dato il tempo che mi occupava, ma tutti i dipendenti cosa avrebbero fatto poi?

Il giardiniere mi riempiva di chiamate, l'idraulico e l'elettricista che mi stavano con il fiato sul collo e il proprietario che se ne infischiava di ciò che dicevo.

Non sarebbe stato un problema mio se quei ragazzi fossero rimasti senza lavoro francamente, ma la mia etica lavorativa mi impediva di rilassarmi in una situazione del genere.

Passando davanti alla postazione di Miguel, afferrai la tazza di iced coffee che mi ordinava quando le cose si facevano complicate e mi appoggiai alla sua scrivania, dandogli le spalle.

«Sei passato all'angolo bar?» chiamarlo angolo bar era un'esagerazione: le uniche cose utilizzabili erano una macchinetta del caffè che sfornava pessimi caffè e una scatola di tramezzini confezionati del supermarket.

«Meglio non sapere cos'ho sentito.» corrugai la fronte e voltai leggermente il capo verso di lui, seduto dietro di me.

«Altro licenziamento?» lui annuì.

«Pare che quella dell'ufficio otto abbia sentito George fare commenti razzisti.» arricciai il naso e mi portai alle labbra la tazza, annusando il profumino delizioso della mia bevanda. «Ma sappiamo tutti com'è fatto George.»

«Sì, e non è proprio il collega migliore.» borbottai, osservando il quadro appeso sopra il divano posto fuori dal mio ufficio. «Ma mi dispiace per lei, so cosa si prova.» mi schiarii la voce, poi sorseggiai il mio caffè. «Non sono mai stata presa sul serio qui dai miei colleghi in quanto donna, ma ci si fa l'abitudine con il tempo.»

Miguel mi lanciò uno sguardo di compassione. Beh, lui non era presente quando io avevo passato le mie giornate a fare da gavetta, quando le mie idee per i progetti non venivano ancora ascoltate e quando i migliori dell'azienda erano George e i suoi amichetti viziati.

E l'unico motivo per cui loro continuavano a lavorare lì non era per il loro talento, bensì perché papino finanziava qualsiasi loro stupidaggine e gli aveva donato un cognome facilmente riconoscibile.

Mi alzai dalla scrivania di Miguel, ma prima di dirigermi verso il mio ufficio mi fermai a guardarlo.

«Mi dispiace per tutti quelli che si stanno licenziando, ma questo vuol dire che hai più possibilità di avere un tuo ufficio e degli eventi da organizzare.» gli feci un occhiolino.

«Non so, lavorare per te è molto divertente.» scossi la testa, sghignazzando. Ero incredula. 

«Okay Mig, allora fammi il numero di Linn. È ora di discutere su quello stramaledetto castello.» presi la mia borsa dal divanetto, ma la suoneria del mio telefono mi fermò prima di aprire la porta del mio ufficio. «Dammi qualche minuto, poi chiama.» lui annuì, sfogliando un plico di fogli.

Per aiutarlo con la sua gavetta spesso gli chiedevo di controllare i miei progetti e di farmi sapere cosa ne pensava, la trovavo una cosa utile anche per me. Miguel aveva un modo di pensare totalmente differente dal mio e spesso questo mi dava nuovi spunti per nuovi lavori.

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