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Sbuffai, guardando terribilmente male l'infermiera che era entrata per disinfettarmi il ginocchio operato.

Io dovevo lavorare, cosa non avevano capito tutti quanti?

«Devo solo ripulire la fasciatura al ginocchio, poi la lascerò al suo lavoro.» alzai gli occhi al cielo, sbuffando e chiudendo il computer per farle alzare il lenzuolo bianco che copriva le mie gambe.

La giovane donna, dai capelli a caschetto mori, mi sorrise imbarazzata e poi iniziò a sfilarmi il grande tutore che mi avevano obbligato a portare. Si vedeva che fosse alle prime armi con una cosa del genere perché ci mise troppo tempo per toglierlo e appoggiarlo accanto al letto.

Prese il kit di pronto soccorso e iniziò a guardare la fasciatura.

Un'enorme fascia mi copriva il ginocchio, diversi cerotti erano già sporchi di sangue perciò l'infermiera cominciò a toglierli con la massima precisione. Eppure tutto bruciava.

Istintivamente, tirai un urlo quando alcune gocce di disinfettante dal colore rosso mi caddero sulle ferite e provai a spostare la gamba. L'infermiera mi bloccò, stringendo la presa sulla caviglia con troppa forza.

La fulminai di colpo prima di sentire una voce familiare.

«E stai calma.» Theo stava sorridendo sulla soglia della porta, appoggiato con le braccia incrociate. «Sono cose che è tenuta a fare, per te biondina.» alzai gli occhi al cielo e guardai male pure lui.

«Sì beh, mi brucia.» serrai i denti quando la giovane iniziò a pulirmi i punti.

«E io che ti ricordavo gentile e affettuosa pure con gli alberi.» mi leccai le labbra, affossando i denti in quello inferiore per trattenere l'urlo di dolore. «Strano vedere come il tempo cambia le persone.» l'infermiera sghignazzò al tono sarcastico del mio amico.

«Già.» dissi, squadrandolo dall'alto al basso. «A te il tempo ti ha imbruttito, almeno io sono sempre come allora.» fu la prima volta da quando ero arrivata dentro quella stanza che qualcuno mi guardò male, ma proprio terribilmente.

«Non fare incazzare nessuno e mostrati un minimo riconoscente per il loro lavoro.» disse, lanciando uno sguardo verso il corridoio. «Vado a prendermi un caffè, torno subito.» lo sguardo che mi mandò fu come un consiglio spassionato: dovevo stare ferma.

La donna, chinata sopra il mio ginocchio, cambiò i cerotti e riposizionò il tutore con la più precisa attenzione e delicatezza. Mi sorrise e poi si allontanò.

«Presto qualcuno le porterà il pranzo, ha compilato il foglio?» annuii, riprendendo il computer e il telefono rapidamente. «Bene. Per quanto riguarda le ferite al braccio penso che verrà a disinfettarle la mia collega dopo pranzo.» non risposi. «Ci vediamo presto.»

Sì certo, certo.

Quando la giovane donna se ne andò, avviai la chiamata con il catering del matrimonio.

Theo rientrò in stanza circa un quarto d'ora più tardi quando la conversazione era sul clue del momento. Inutile dire che mi stavo arrabbiando più nei giorni di ricovero che nei giorni normali, stare dietro al mio lavoro senza potermi presentare dal vivo era a dir poco impossibile.

Theo alzò gli occhi al cielo, si posizionò davanti alla finestra con vista sul mare e allacciò le mani dietro la schiena. Sapevo che infondo le mie litigate con i clienti lo divertivano, anche perché non mi aveva mai vista in quella veste.

Quando ero stata a casa sua, avevo deciso di spegnere il telefono in modo da non farmi deconcentrare sui lavori di ristrutturazione.

«Senta signorina, non so più cosa dirle.» chiusi le mani in due pugni per trattenere la rabbia che mi faceva formicolare gli arti.

Per Sempre TuoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora