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«Sono davvero così interessante? Ora vorrà vedermi tre volte a settimana per caso?»

Il gonfiore all'occhio stava diminuendo con il tempo, ma le condizioni della sua tuta arancione non miglioravano e la cosa mi preoccupava. Era sempre sporco e puzzolente, la sua divisa era quasi sempre a stracci.

Per quale motivo era sempre sporco? Per quale motivo sembrava essere sempre uscito da una rissa in qualsiasi momento in cui decidevo di incontrarlo? Forse avrei dovuto indagare di più su ciò che succedeva quando io non c'ero.

«È il mio lavoro signor Mancini.» e mi ero accorto anche del fatto che aveva rasato i capelli e che quella sua chioma mora sempre spettinata non gli incorniciava più il volto, fino a sfiorargli gli occhi. «Ma è così complesso che mi intriga il suo modo di ragionare.»

Noah alzò gli occhi al cielo. Non ne capii il motivo.

«E perché sono così complesso?» mi chiese, appoggiando i gomiti sui braccioli della sedia.

«Le domande qui le faccio io, se permette.» nonostante lo avessi a cuore, dovevo fare il mio lavoro e non farmi rimbambolire da un ragazzino di vent'anni. Non me lo potevo permettere arrivati a quel punto.

«Perché ti costringi a fare questo lavoro?» sorrisi, scrollando le spalle e pronto a rispondere ma lui mi fermò. «È una merda, persino pulire i cessi di un autogrill sarebbe più entusiasmante.» ruotai gli occhi, aprendo la sua cartella sul tavolino.

«Più ci vediamo e più parla. Interessante.» gli lanciai un'occhiata di sbieco. «Magari potrei veramente triplicare gli incontri, forse diventerebbe il mio migliore amico.» scherzai.

«Ci metti davvero troppo tempo a capire una persona.» per la prima volta da quando avevamo iniziato gli incontri si alzò dalla sedia e cominciò ad esplorare quel macabro ufficio. «Le semplifico il lavoro: pensiamo entrambi che tutto nella vita si possa controllare, anche le persone.»

«Un po' di controllo non guasta.» si fermò davanti alla minuscola finestra e scosse leggermente la testa.

«Davvero? Perché io credo che il controllo ogni tanto debba andare un po' a puttane.» mi morsi le labbra, ascoltandolo. «Guarda a che cazzo serve il controllo.» ruotò verso di me e fece per allargare le braccia, ma le manette ai polsi glielo impedirono. «Il controllo è utile quando si parla di autocontrollo, non quando viene utilizzato sugli altri.» sorrise.

Inquietante! «È un'arma a doppio taglio, bisogna fare attenzione a come lo si usa.»

«Se decidesse di rispondere alle domande dell'avvocato senza rigirare la frittata ogni volta, probabilmente ora non parleremmo neanche di controllo dentro questo... posto.» più mi guardavo intorno, più mi veniva la nausea.

«Oh sì, mi scusi carissimo.» ritornò seduto davanti a me con i gomiti poggiati sui braccioli e le gambe leggermente aperte nella massima comodità. «La prossima volta le sbatto anche la palma se sente caldo.» sghignazzò, forse divertito dalla sua stessa battuta. 

«Bella merda questa società comunque: chi è più potente controlla quello più debole, che non ha il potere di difendersi.»

Sembrava riportare tutto alla sua condizione, nonostante il suo intento fosse quello di generalizzare. Eppure sapevamo entrambi che stesse cercando di esprimere la sua opinione su ciò che gli veniva fatto.

«Lei ha il potere di difendersi, ma non lo utilizza.» feci una smorfia. Continuavo a non capire il suo mutismo selettivo di fronte all'avvocato.

«E tu saresti il mio potere?» scoppiò in una risata isterica. «Torna a casa e smetti di farmi venire a questi colloqui, come li chiama lei.» incrociai le braccia sopra i numerosi fogli della sua cartellina.

Per Sempre TuoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora