I ALLYSON'S POV I
Avevo tolto il tutore e le stampelle solo da una settimana e la fisioterapia continuava ad assillarmi.
Ma almeno ero tornata al lavoro, ero tornata a camminare e potevo finalmente giocare come Dio voleva con Bounty senza preoccuparmi di far cadere troppo peso sulla gamba destra.
Il mio cellulare squillò, ma – a causa della confusione momentanea – afferrai il telefono d'ufficio invece che il mio personale.
«Pronto?» sentii la suoneria continuare a squillare, quindi mi resi conto dell'errore e presi il telefono giusto. «Pronto?» ripetei, portandomi la mano alla fronte per darmi un colpo.
«Cena a casa tua e di Noah, dobbiamo parlare di una cosa.» Theo mi richiuse la chiamata in faccia senza lasciarmi il tempo di metabolizzare.
Non aveva posto una domanda, chiesto se andasse bene, lui aveva ordinato.
Lo rimpinzai di messaggi, ma venni interrotta dalla porta del mio ufficio che si aprì e che lasciò intravedere gli occhi chiari di Miguel.
«Ha chiamato il capo.» ripresi la penna da dietro l'orecchio e iniziai a rigirarla tra l'indice e il pollice, osservando Miguel sull'uscio della porta. «Ha detto che dovrai andare a San Francisco per un progetto.» spinsi la sedia indietro.
«Si stanno avvicinando le feste, non ho intenzione di andare via per lavoro un'altra volta.» Miguel scrollò le spalle, infilandosi le mani dentro le tasche. «Ti ha detto almeno per quanto tempo?» si leccò le labbra, abbassando il viso.
«Un mese minimo.» strizzai gli occhi, alzandomi dalla mia seduta.
«Non posso andare via per così tanto tempo.» mi portai i capelli dietro le orecchie, lanciando la penna sulla mia scrivania piena di fogli e progetti nuovi. «Ho la fisioterapia, ci saranno le vacanze... Non posso.»
«Per oggi è andato via, ma puoi sempre parlarci domani.» sbuffai, ritornando seduta e liquidando Miguel con un cenno della mano.
Passai il resto della giornata davanti al computer solo perché non potevo ancora andare al castello a causa della mia gamba, ancora poco funzionante.
E mi chiedevano poi per quale motivo la odiassi così tanto, e odiavo così tanto pure me stessa per essere finita protagonista di quell'incidente. Che avrei ricordato ben poco, se non fosse per gli incubi che mi risvegliavano la notte.
Mi alzai dalla sedia, sistemai i vari documenti e li infilai dentro il primo cassetto. Mi guardai intorno e presi il telefono, che vibrò per una notifica di Theo in cui mi avvertiva che sarebbe venuto lui a prendermi al posto di Noah.
Chiusi la cartella con i progetti e la inserii alle mie spalle, nella grande libreria, prima di prendere il cappotto e uscire.
Le mie scarpette da ginnastica non producevano lo stesso rumore di quello che facevano i tacchi quando percorrevo il palazzo in cui ero confinata e la cosa mi ricordava solo che quell'incidente, anche solo miseramente, mi aveva distrutto.
Oltre a sentirmi inutile per tanti motivi, non potevo nemmeno più indossare i miei adorati tacchi e questo significava solo che ero costretta a vestirmi casual ogni giorno per tutto il giorno. E per quanto adorassi sentirmi comoda, di certo non mi sentivo a mio agio abbastanza.
Aspettai che le porte dell'ascensore si aprissero, poi salutai il portinaio e fulminai Theo – seduto comodamente in una sedia d'attesa – per quella misera chiamata.
Non avrei di certo preparato la cena per lui, non lo facevo nemmeno per me il più delle volte.
«Muoviti, ho un ospite a cui dar da mangiare.» questo significava andare a fare la spesa. «Perciò alza le chiappe da quella sedia e dammi un passaggio fino al supermercato.» Theo ridacchiò, seguendomi fuori dall'edificio.
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Per Sempre Tuo
ChickLitIN FASE DI SCRITTURA Diventare un automa non era mai stato il suo sogno, ma a volte non sempre le cose vanno come ce le aspettiamo e questo Noah Mancini lo sapeva bene. Lasciandola, si era perso. Era caduto di nuovo nella trappola del lupo e si era...