dieci

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La vecchia Sierra non avrebbe mai detto né pensato che stare al letto per un giorno intero fosse snervante. La vecchia Sierra amava dormire, ma quella ragazzina mora che se ne stava stesa sul letto, a reprimere smorfie di dolore prendendosi il labbro inferiore tra i denti non era più la piccola Stilinski, perché sia per sé stessa che per gli altri ragazzi che aveva conosciuto fino a quel momento era diventata la Ragazzina Senza Nome.

Aveva passato una notte insonne, a torturarsi le mani e a famigliarizzare con quel senso di vuoto. Non ricordava minimamente di avere un fratello gemello, che lei definiva il fratello migliore del mondo, uguale a lei solo fisicamente; non sapeva avesse un padre che proprio in quel momento, mentre lei se ne stava su quel letto dolorante, piangeva per la sua morte e cercava di rivivere i ricordi che aveva con lei attraverso il fondo di una bottiglia vuota di Whisky; non sapeva avesse dei migliori amici che erano persi senza di lei, ma sopratutto... non ricordava di essere innamorata di Lui.

Quei ricordi che aveva perso lei non li sentiva come suoi, e anzi, non sentiva nulla. Piangere per delle persone che lei, in quel momento, sentiva di non conoscere, sarebbe stato come disperarsi per la vita di uno sconosciuto.

Gettò uno sguardo alla finestra: il sole stava sorgendo, e si rese conto di non aver dormito affatto. Si perse nei colori chiari del sole di un primo mattino fino a quando qualcuno bussò allo stipite della porta della sua camera con un pugno.

Quando constatò che quel ragazzo dal fisico asciutto, tonico e slanciato che se ne stava appoggiato all'ingresso della sua camera, avesse anche lui degli occhi azzurri, cristallini, le venne da sorridere. Pareva essere un requisito fondamentale per abitare in quella casa.

-Buongiorno.- sussurrò quel ragazzo, con un ghigno simpatico all'angolo sinistro delle labbra. Era carino, così come Charlie, Brad e tutti gli altri ragazzi che le si erano presentati il giorno prima. Tutti tranne Oscar, ovviamente.

-Buongiorno.- gli rispose con un sorriso debole la piccola Stilinski, spostandosi un pò dall'altro lato del letto, lontano da lui. Perché nonostante tutto aveva paura. Sembrava che galleggiasse nel mezzo dell'oceano, e non poteva mai sapere se sarebbe sopravvissuta senza essere attaccata dalle creature che abitano le profondità di quella distesa d'acqua cristallina.

Il ragazzo biondo le tese una mano anche se molto debolmente, perché aveva paura di farle male. -Sono Henry.- le disse, quando la piccola Stilinski prese coraggio e suggellò quella stretta.
-E tu?- domandò ancora il ragazzo, ma proprio in quel momento si rese conto di aver fatto una domanda stupida. Spalancò goffamente gli occhi, senza sapere cosa dire.

-Posso chiamarti Guance Rosse?- domandò il biondo correggendosi, e la ragazza corrugò la fronte come a mettere su un'espressione interrogativa. Si rese conto a cosa effettivamente alludesse Henry, quando si sedette accanto a lei e le passò il dorso della mano sulle guance arrossate per l'imbarazzo.

-Qualsiasi nome mi va bene.- acconsentì, annuendo.
-Come mai sei già sveglia, Guance Rosse?- le domandò Henry indicando la finestra, dove gran parte del cielo era ancora buio; ma lì, proprio dietro una collina in lontananza, c'era uno spicchio di sole pronto a far caldo a tutto il mondo in quell'ufficiale primo giorno d'estate.

-Potrei farti la stessa domanda... Bel Sorriso.- rispose a tono Sierra, ma le gote le si arrossarono ancora di più quando Henry la guardò con una punta di curiosità, per il nomignolo che gli aveva appena dato.
-Lo so, sono pessima con i soprannomi.- si scusò lei prendendosi il labbro inferiore tra i denti, ma in risposta ricevette una risata da parte del ragazzo.

Era davvero simpatico Henry, e quei capelli biondi corti e leggermente mossi, quegli occhi azzurri... sembrava le fossero famigliari.

Si ritrovò a ridere anche lei, ma appena poggiò una mano sul suo stomaco senza volerlo, si ritrovò ad urlare dal dolore. Henry si allarmò immediatamente, la guardò con gli occhi chiari contornati da quella pelle altrettanto pallida, e si portò una mano dietro i capelli mossi scompigliandoseli ancora più del dovuto; l'altra mano sul ponte del naso, a sistemarsi la montatura degli occhiali per niente giovanili, ma su un ragazzo affascinante come lui stavano divinamente. Il dolore allo stomaco lacerava la ragazza, che stringeva tra i pugni le lenzuola zuppe di sudore, e urli, e dolore, e sofferenza.

𝐓𝐚𝐤𝐞 𝐦𝐞 𝐛𝐚𝐜𝐤 • 𝐃𝐄𝐑𝐄𝐊 𝐇𝐀𝐋𝐄 •Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora