Amava e odiava il silenzio alla stessa maniera, essenzialmente perché credeva davvero che ne esistessero più tipi: esiste il silenzio dettato dalle strane leggi dell'imbarazzo, quando non sai assolutamente come comportarti o cosa dire con una persona; c'è il silenzio angosciante, perché non sai il motivo per cui è nato e allora ti ritrovi a deglutire nervosamente, spezzandolo.
Poi c'era il silenzio in cui lei stessa si ritrovava. La maggior parte delle volte accadeva quando scriveva o leggeva, e avvertiva quel silenzio, quella calma piacevoli che la facevano sentire in un altro universo lontano da tutte le brutture del mondo esterno. Nel silenzio delle pagine dei libri si trovava piuttosto bene, si sentiva protetta.
Era giunta anche alla conclusione che sì, il silenzio esiste, ma non quello assoluto. C'è sempre qualche rumore di sottofondo, un elemento disturbante che non ti permetterà mai di avvertire la totale pace dei sensi.
Poteva essere un rumore di motori delle macchine in lontananza, il cinguettio degli uccelli fuori dalla finestra di prima mattina o il vento minaccioso prima di un temporale. Il mondo è troppo pieno di caos per permetterti di staccare la spina anche solo un secondo, e quindi ti conviene abituarti al rumore.Era convinta di tutto ciò perché lo aveva studiato a scuola, in una delle poche volte che era stata attenta nella lezione di musica.
E infatti in quel momento, nonostante il silenzio, avvertiva la suola delle sue scarpe battere sul cemento grigio e sporco di quell'edificio abbandonato. Avanzò lenta, cauta, come se avesse avuto paura di un qualcosa che avrebbe definitivamente potuto rompere quel silenzio che la tranquillizzava.Esaminò bene la zona: un open-space spoglio di qualsiasi mobile o elemento che sarebbe stato in grado di evidenziare a cosa fosse stato destinato tempo prima quell'edificio. I muri erano grigi, così come il pavimento ed il soffitto. Scorse in lontananza solo un pannello fissato al muro, dal quale fuoriusciva una fioca luce che sembrava potesse fulminarsi da un momento all'altro.
Per quanto il suo carattere la invitasse a curiosare in ogni cosa, in quel momento sentiva una stanchezza addosso che quasi le vietava categoricamente di rivestire il suo solito ruolo da detective. Non voleva scoprire dove fosse, perché per una volta voleva che le risposte arrivassero da lei senza che le avesse cercate.
Camminò ancora, entrando, secondo la costruzione dei muri, in altre stanze che però erano tutte aperte, le pareti completamente sfondate.Inarcò un sopracciglio quando in lontananza non scorse più cemento, solo vuoto. Se ne infischiò di non fare rumore, e si avviò quasi correndo verso l'orizzonte davanti a lei. Sussultò in maniera quasi incontrollata quando le sue scarpe consumate si fermarono volontariamente a tre centimetri di lontananza da quella che aveva tutta l'aria di essere una voragine nel pavimento, che lasciava intravedere il piano terra dell'edificio. Era davvero grande, tanto che pensò fosse sprofondato il pavimento di un'intera stanza.
Non guardò giù, perché sentiva di soffrire di vertigini. Deglutì rumorosamente e chiuse a forza le palpebre, respirando talmente tanto veloce da avvertire il suo petto alzarsi ed abbassarsi in maniera incontrollata, quasi innaturale. Era questa la sensazione che si provava quando si aveva un attacco di panico? O forse era un infarto? Era normale avere un infarto a diciott'anni, tra l'altro?
Domande su domande che le affollavano la testa solo per occupare la mente e non lasciare vincere il suo cervello, che la invitava a guardare giù. Non voleva farlo, perché aveva la netta convinzione che se avesse rivolto un solo sguardo in basso sarebbe involontariamente caduta, e lei non voleva sapere come sarebbe stato fare un tuffo nel vuoto.
Non un'altra volta.Lentamente, indietreggiò lontana da quel buco gigantesco, e si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo quando, retrocedendo, sentiva quel bellissimo cemento sotto la suola delle sue scarpe. Per lei quel pavimento rappresentava una certezza, perché in quel momento non ne aveva nessun'altra: non sapeva dove fosse, se fosse al sicuro... se fosse viva. Non sapeva nulla ma non le importava, le bastava sentire qualcosa di duro sotto le sue scarpe che la teneva in piedi.
Alla fine bastava così poco per sopravvivere.

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𝐓𝐚𝐤𝐞 𝐦𝐞 𝐛𝐚𝐜𝐤 • 𝐃𝐄𝐑𝐄𝐊 𝐇𝐀𝐋𝐄 •
FanficSEQUEL DI: Push me back • DEREK HALE • NON leggere, se non hai ancora letto la prima storia. Secondo la mitologia greca, gli umani originariamente furono creati con quattro braccia, quattro gambe e una testa con due facce. Temendo il loro potere, Ze...