diciotto

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Non ricordava fosse così bello correre.

Sentiva il vento caldo di una prima estate sulla pelle pallida e sul viso; sentiva quel vento che aveva la sfacciataggine di entrare anche all'interno dei suoi vestiti piuttosto leggeri. Pareva volasse, per quanto si sentiva libera.

Per giorni, se non per settimane, si era sentita sola al mondo; come se avesse qualcosa di irrisolto nel cuore — ed inconsciamente era così. Mentre tutto il mondo continuava a muoversi, lei percepiva di rimanere ferma. Si sentiva incompleta, una pedina degli scacchi persa e finita chissà dove; si sentiva senza un senso, con la testa altrove troppo lontana, in una realtà che forse nemmeno esisteva, ma intanto il corpo rimaneva lì fermo in quella casa di legno o ancora peggio in quel letto che non era neanche il suo, e che aveva ingiustamente sottratto al legittimo proprietario.

Per giorni, se non per settimane, si era sentita sola al mondo pur stando in una casa con ben undici persone; mentre correva a perdifiato in quel bosco perso chissà in quale parte del mondo, invece, sentiva di essere accompagnata da qualcuno. Forse dalla sua forza, dal suo coraggio o dall'emozione del momento; dall'emozione di rompere gli schemi senza un reale motivo, solo perché si sentiva troppo oppressa e al contempo troppo vuota.

Alla fine le dispiaceva per il modo in cui era scappata, piuttosto le dispiaceva per Charlie che sicuramente si stava dando la colpa di quella fuga; le dispiaceva per Mia e Phoebe, per Brad, Henry, Austin...Daniel. Tutti tranne che per Oscar, che magari più che vederla in fuga avrebbe voluto vederla morta. Le dispiaceva ma non poteva farci nulla, perché quello con quel branco non era il suo posto nel mondo e lei lo sapeva, o perlomeno aveva questa convinzione.

Ma qualsiasi esso fosse lei proprio non riusciva a ricordarlo, quale fosse il suo posto nel mondo. Sperava che correre a perdifiato, fino a sentire le gambe tremare ed il cuore chiedere pietà; pensava che correre buttando uno sguardo al sole caldo che filtrava attraverso i rami l'avrebbe aiutata a ricordare qualcosa, qualsiasi particolare o qualsiasi viso avesse fatto parte della sua vita prima di tutto quel casino, invece riuscì solo a ricondurre la sua mente alle parole di Oscar.

E se davvero non avesse avuto nessuno? Era possibile che nessuno la stesse cercando, che nessuno stesse setacciando ogni granello di polvere di tutto il mondo per riaverla di nuovo accanto a sé?

Quell'ipotesi cominciò lentamente ad invaderle quasi la totalità della sua mente. Certo, erano due settimane che viveva in una casa letteralmente persa in un bosco, ma da ciò che le avevano raccontato, spesso Daniel e Logan raggiungevano la città più vicina per rifornire la casa di tutto ciò di cui avesse bisogno, per cui avrebbero dovuto udire per forza qualcosa in merito ad una ragazzina scomparsa o qualsiasi altro titolo di un quotidiano settimanale. Si sa che le voci, se clamorose, girano per tutto il mondo attraverso telegiornali, mass media e social network, e la stessa Selene pensava che la notizia di una ragazzina scomparsa fosse fin troppo rilevante.

Il fatto che nessuno ne parlasse, che nessuno si fosse adoperato e si fosse messo alla sua ricerca, quindi, fece definitivamente crollare qualsiasi ipotesi positiva sul suo passato, e sulla probabilità che fosse amata da molti e si fosse lasciata una vita stupenda alle spalle.

Per qualche strana legge della psicologia tendiamo a soffrire più per la nostra immaginazione che per altro, perché le nostre preoccupazioni sono quasi il quadruplo degli effettivi rischi che corriamo. Di conseguenza Selene stava diventando una povera vittima della sua stessa mente. Stava lasciando che vincesse la paura, la paura dovuta alla probabilità che davvero non avesse nessuno ad aspettare il suo ritorno, nessuno a piangerla perché persa chissà dove e nessuno che la amasse. Stava lasciando vincere le cattiverie di Oscar, perché la negatività ha sempre prevalso sull'ottimismo.

𝐓𝐚𝐤𝐞 𝐦𝐞 𝐛𝐚𝐜𝐤 • 𝐃𝐄𝐑𝐄𝐊 𝐇𝐀𝐋𝐄 •Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora