sedici

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Selene avvertiva ormai da settimane quel silenzio assordante all'interno della sua testa, quel silenzio fatto di ricordi muti, svaniti per chissà quale ragione. Appunto la mora pensava di averci famigliarizzato abbastanza con quel vuoto assoluto, ma si ritrovò a sostenere il contrario mentre vagava per quella casa, per quella dimora che non era la sua. Lì nulla apparteneva a lei, nemmeno il silenzio. Le era sconosciuta ogni cosa, ogni mobile ed ogni granello di polvere, ma in quei rari attimi di ottimismo pensava che con il tempo si sarebbe abituata a quei corridoi, a quella rampa di scale fredda e a lei totalmente indifferente.

I suoi piedi nudi avanzarono fino al grande specchio accanto alla porta d'ingresso: voleva specchiarsi, ancora. Voleva costantemente avere la sicurezza che almeno il suo aspetto non fosse mai cambiato, mutato con il tempo e con lo svanire dei ricordi. Si vide nuovamente nel riflesso: quella però era Sierra, non Selene. Quei nei, quelle lentiggini...tutto di lei apparteneva a Sierra Stilinski. Osservò nel riflesso il pigiama leggero che Phoebe le aveva gentilmente prestato, ma in quel momento a vedere quell'indumento su di lei storse le labbra: odiava dipendere da qualcuno.

Quando poi incontrò i suoi occhi nel riflesso, arrivò a perdersi nella sua stessa immagine. Rimase così a lungo sporta in avanti, il viso a pochi centimetri dal riflesso. Con i polpastrelli sfiorò la piccola cicatrice ancora in rilievo che aveva sulla guancia destra e a cui fino a quel momento non aveva mai fatto caso. Il vuoto che sentì nel petto era eloquente, una voragine fatta di mancanze, di attimi dimenticati. Come era arrivata fin lì? Perché il Destino pensava di poter avere il diritto di stravolgere completante le sorti di una persona, costringendola a farsi andare bene ciò che è stato stabilito al posto suo?

Selene a quel punto indietreggiò di due passi, ma sempre e comunque evitando di distogliere lo sguardo dalla sua figura riflessa allo specchio. La sua immagine venne affiancata da una più piccola: aveva accanto la sagoma di una bambina; le gote rosse, gli occhi vividi. La più grande guardava la più piccola e viceversa, l'una perdendosi nei sorrisi dell'altra.

-Jane...?- la richiamò la mora, sussurrando quel nome alla minore. Entrambe preferivano continuare a guardarsi allo specchio piuttosto che incrociare davvero i loro sguardi una volta per tutte. Forse era una sorta di gioco a cui nessuna delle due voleva sottrarsi, perché entrambe ancora bambine. -Selene...?- la piccola imitò lo stesso tono della maggiore, facendola sorridere.

Non sapeva per quale motivo, ma le si strinse il cuore ad osservare il riflesso di quella piccolina, a pensare all'innocenza che guidava la sua vita, l'inconsapevolezza di ciò che l'avrebbe aspettata. Voleva disperatamente tornare ad essere bambina, a non doversi preoccupare di niente, ma in quel momento riuscì solo ad inginocchiarsi all'altezza della più piccola rivolgendole uno sguardo.

-Non riesci a dormire?- domandò, incastrando i suoi occhi color nocciola a quelli di Jane, che erano pressoché della stessa tonalità. -E' diverso: non posso.- rispose risoluta la seconda, arrotolandosi le maniche del pigiama un pò troppo largo, scoprendo così metà braccio.

-E perché non puoi?- chiese curiosa Selene, aggrottando la fronte. Era incuriosita da quella bambina, bellissima tanto quanto sveglia e furba. Ipotizzava che magari anche lei era stata così innocente, così sognatrice..come lo sono tutti i bambini, d'altronde.

-Vieni, te lo faccio vedere.- le sussurrò la più piccola all'orecchio. Successivamente prese la più grande per la mano e, senza aspettare neanche che ricambiasse la stretta, la trascinò verso le scale. Jane non sembrava per niente interessata al fatto che tutti gli altri stessero beatamente dormendo, tanto che i suoi piedi scalzi battevano sugli scalini come martelli. La tipica iperattività di una bambina, insomma.

Poco dopo, visto che Selene risultava quasi essere un peso da trascinare, la più piccola lasciò la stretta e corse al piano di sopra senza aspettarla, conscia che tanto prima o poi l'avrebbe di nuovo trovata. L'attenzione della più grande venne attirata da alcune foto incorniciate e appese lungo la parte della rampa di scale. Le sue labbra si curvarono verso l'alto quando vide la foto centrale che, costellata da tante altre, immortalava l'intero branco di quella casa: sullo sfondo si poteva chiaramente scorgere il bosco, e si poteva anche capire dal fatto che la piccola Jane, nella foto, fosse appesa per le braccia al tronco di un albero e facesse la linguaccia all'obbiettivo.

𝐓𝐚𝐤𝐞 𝐦𝐞 𝐛𝐚𝐜𝐤 • 𝐃𝐄𝐑𝐄𝐊 𝐇𝐀𝐋𝐄 •Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora