cinque

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Beacon Hills
Quel piccolo pezzo di carta era nelle mani giuste e al contempo sbagliate. Quel pezzo di carta faceva male e allo stesso tempo era in grado di colmare un vuoto, curare tutte le ferite psicologiche che da tempo ormai martoriavano la carne e la mente del mannaro. Pensava che nessuno sarebbe mai stato in grado di scrivere una cosa del genere, e men che meno per lui.
Era abituato al dolore, alla sofferenza, ma quello? Se lei aveva portato luce nella sua vita, come avrebbe potuto fare Derek a spegnere volontariamente l'interruttore? Non sapeva come fare, gli ci sarebbero volute le istruzioni, ma Sierra Stilinski si era portata via pure quelle.
Lei e le sue guance rosse, lei e la sua testardaggine che lo mandavano fuori di testa... lei ed il suo cuore, che da parecchi giorni non sentiva più battere. In quel momento si disse che no: lui non aveva mai saputo davvero cosa si provasse a soffrire, se non fino a quei giorni. C'erano momenti in cui sembrava che il suo cuore, i suoi occhi, tutto di lui urlasse, altri invece in cui non sembrava neanche fosse davvero vivo.

Inspirò lentamente dal naso, come a volersi calmare e non urlare davvero una volta per tutte. Tuttavia non chiuse gli occhi perché sapeva benissimo che ad accoglierlo non ci sarebbe stato il buio, ma i suoi occhi, il suo sorriso. Lei, di nuovo.
La rivedeva in ogni gesto, in ogni angolo della casa. Talvolta saliva sulla sua Camaro nera davvero convinto che ci sarebbe stata lei ad aspettarlo sul sedile del passeggero, con la cintura allacciata come una bambina responsabile, ma poi tornava alla realtà e si accorgeva di star tastando il sedile vuoto e non la sua coscia.
Stava letteralmente impazzendo, e lo capiva quando si accorgeva di chiamarla nel sonno la sua Sierra, la sua piccola Stilinski; lo capiva quando Cora gli chiedeva di farle il caffè e lui, involontariamente, le preparava il latte al cioccolato, solo perché piaceva a lei; lo capiva e basta quando sentiva quella voce dolce e allo stesso tempo autoritaria chiamare il suo nome.
'Scemo di un sourwolf!' sentiva continuamente nei muri, nelle finestre e nelle stoviglie. Quella voce era nella sua testa, e se da un lato sperava se la dimenticasse presto dall'altro si diceva che senza non sarebbe riuscito ad andare avanti.

"Due ragazzi, inevitabilmente uniti da un elastico resistente a qualsiasi tipo di avversità."
Gli occhi di Derek caddero involontariamente sull'ultima riga della lettera della sua ragazza, e allora la lasciò cadere per terra. Aspettò in silenzio che quella carta volteggiasse in aria spinta da un leggero alito di vento e poi si accasciasse definitivamente sul pavimento, per tornare a respirare.
Si chiedeva che fine avesse fatto quell'elastico. Era sprofondato con lei o ce l'aveva ancora lui? Si chiedeva se quel dannatissimo elastico fosse stato in grado di resistere anche alla morte. Scosse la testa energicamente, come a volersi levare quei pensieri dalla testa, ma riuscì solo ad intravedere il volto della sua ragazza che sorrideva e allora proprio non ce la fece più. Poggiò le sue mani chiuse a pugno sul legno freddo del lungo tavolo al centro del loft, perché ormai sembrava l'unica cosa che riuscisse a calmarlo.

Le sue riflessioni vennero annullate dalla collera, verso sé stesso tanto per cambiare.
"Non ti lascio più andare", quella frase viveva nella mente di Derek costantemente, perché per lui era l'ennesima prova del fatto che fosse pericoloso, inaffidabile, che per quanto volesse proprio non riusciva a rispettare una promessa. Non era fatto per i vincoli, per le limitazioni, solo per fare del male. Più cercava di farlo capire a quella testarda della sua ragazza e più lei credeva fase un gioco, e lo metteva maggiormente alla prova.

Per la prima volta dopo parecchi giorni non gettò la testa all'indietro e non guardò il soffitto, ma la vetrata davanti a sé. I raggi del sole erano talmente luminosi e caldi che erano anche in grado di trasparire attraverso quel vetro impolverato ed usurato dal tempo, e riuscivano a riscaldare quel soggiorno che era silenzioso da troppo tempo.
Proprio in quel vetro, Derek vide riflessa la sua stessa immagine: era sempre lui, i capelli arruffati e scompigliati dal sonno e gli occhi verdi colmi di stanchezza, che urlavano dolore ma in silenzio, come se non volessero disturbare nessun altro eccetto il loro proprietario; i bicipiti che erano resi evidenti dalla maglietta a maniche corte e il busto tonico avvolto in quel tessuto verde militare. Era bello, perché quello lo era sempre, ma era consumato dalle notti insonni, dai ricordi e dalle voci nella sua testa.
Si avvicinò ancora di più al vetro come a volersi esaminare meglio, e arrivò con indice e medio a toccare il suo riflesso nel vetro freddo. Molte volte non si rendeva conto neanche di essere vivo, quindi doveva accertarsi che quello specchiato fosse davvero lui.
-Me lo fai un sorriso, sourwolf?- domandò una voce che arrivò lontana alle sue orecchie, ma fu abbastanza comprensibile per capire che era Lei. Il respiro morì istantaneamente sulle labbra del mannaro a sentire la sua voce, tanto che fece anche cadere lungo i fianchi quelle due dita che erano sul vetro. La vide anche, la sua piccola Stilinski.
Riflessa nel vetro, bella come non mai; con i capelli mori messi da un lato di una spalla, e l'altra scoperta, con la pelle chiara e i nei scuri in risalto. E sorrideva, Sierra. Sorrideva per entrambi.

𝐓𝐚𝐤𝐞 𝐦𝐞 𝐛𝐚𝐜𝐤 • 𝐃𝐄𝐑𝐄𝐊 𝐇𝐀𝐋𝐄 •Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora