Capitolo 15

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Camila era in camera sua, seduta sul letto con le gambe incrociate sotto il corpo, un pantaloncino e una canotta che avrebbe usato come pigiama, e una penna tra le labbra. Cercava di recuperare un po' di lezioni per non restare indietro con il programma. Anche se i suoi atteggiamenti non lo lasciavano intendere, ci teneva ad avere delle buone votazioni a scuola, sperava che ciò l'aiutasse ad avere un futuro per tirarsi fuori da quella casa, e con lei Sofi. Non l'avrebbe mai lasciata con quell'uomo violento che si ritrovava per padre. Anche se fino a quel momento non aveva mai alzato le mani con la più piccola, nessuno le assicurava che le cose non sarebbero cambiate in futuro. Non lo permetterei mai. La proteggerò sempre, a costo di rimetterci la mia vita.

Ci teneva più al benessere della sorellina, che nemmeno al suo. Si staccò da quei pensieri, cercando di concentrarsi sullo studio, mentre sentiva il leggero canticchiare di Sofi dalla sua camera, impegnata a giocare con la sua bambola preferita.

Captò un motore borbottante fermarsi nel vialetto di casa sua, e si tese. Era tornato ad un orario insolito. Sentì poi il rumore dello sportello che si richiudeva, seguito da un altro. Era in compagnia. Si sentì improvvisamente agitata. Silenziosamente si avvicinò alla camera di sua sorella per chiuderle la porta, senza che lei se ne accorgesse. Sentiva odore di guai. Lui non portava mai nessuno in casa sua, soprattutto a quell'ora della sera. Rientrò velocemente in camera sua, accostando la porta, ma tendendo le orecchie.

Suo padre si rivolgeva a un'altra persona, che ascoltava in silenzio. Non riusciva a capire cosa dicesse, ma riconobbe il nome dell'interpellato. Austin. Cazzo.

"Camilita!" Tuonò la voce di suo padre nell'aria, imperiosa. "Vieni subito qui!" Ordinò.

Si alzò tremante, e uscì nel corridoio buttando un occhio alla porta della sorella, fortunatamente ancora chiusa. Arrivò nel salotto, dove l'uomo aveva imposto la sua presenza, sentendosi gli occhi dei due addosso. Quelli pieni di odio del padre, e quelli viscidi di Austin che la squadravano. Si odiò per essersi vestita così per la notte. In quel momento avrebbe preferito indossare un burqa. 

"Vieni qui." Le impose il genitore, indicandole di sedersi sul divano accanto all'ospite. Lo fece, cercando di mantenere le distanze. Austin le azzerò, avvicinandosi e mettendole una mano sulla parte alta della coscia, che lei cercò di spostare senza riuscirci. La presa del ragazzo era salda e abbastanza dolorosa sulla sua pelle scoperta. "Vedo che avete già fatto conoscenza. Bene. Vi lascio soli allora." Ghignò suo padre.

"Cosa? Stai scherzando?" Protestò Camila furiosa, provando ad alzarsi, ma il ragazzo le impedì di alzarsi, trattenendola anche dalle spalle.

"Camilita, tesoro, hai sentito tuo padre?" Un ghigno malvagio si era dipinto anche sul tuo volto. "Vuole lasciarci la nostra privacy, come spetta logicamente a due neo fidanzati."

"Fid..." La parola le morì in bocca, captandone il significato. "Ma tu sei fuori!" Riuscì a liberarsi della presa del ragazzo, sgusciando dopo essersi agitata in malo modo, alzandosi e andando verso suo padre, furiosa, urlando. "Non puoi farmi questo! Lo sai che non voglio. Mi piacciono le rag"

Un manrovescio in pieno viso la fece tacere, mandandola stesa in terra. Un calcio nel fianco che già le doleva le tolse l'aria restante, facendola annaspare.

"Tu fai quello che dico io! Non ti permetterò di umiliarmi in questo modo! Starai con Austin, e questo è quanto!" Tuonò nervosamente Alejandro. "Sarà meglio che tu impari a rispettare gli uomini, e a fare quello che diciamo noi. O giuro su Dio che ti faccio diventare la puttana di tutti i miei scagnozzi. Spero che Austin, il mio braccio destro e da oggi tuo fidanzato, sia soddisfatto in tutto e per tutto. Guai a te se sento una sola cazzo di lamentela. Intesi?"

Le sferrò un altro calcio in pieno stomaco, con rabbia, incurante del suo stato. Camila iniziò a tossire, mentre era ancora a corto di fiato e delle goccioline di sangue macchiarono il parquet.

"E quando hai finito con Austin, ripulisci questo schifo." Disse, mentre Camila sentiva la voce più lontana. Lo sentì uscire dalla porta d'ingresso, sbattendo la porta. Camila cercò di rimettersi in piedi, trattenendo le lacrime. Lacrime di dolore, di rabbia, di frustrazione, di odio.

Le parole del ragazzo ancora comodamente seduto sul divano, a gambe divaricate, le gelarono il sangue.

"Hai sentito tuo padre? Va' a sciacquarti la bocca, e poi torna qui. Non farmi aspettare tanto." Disse secco.


Camila sputò il collutorio nel lavandino, sperando di togliersi quel sapore dalla bocca. Era un misto di sapore di sangue e sapore di... di lui. Che schifo. Trattenne un conato di vomito abbastanza forte, sentendo un rumore vicino alla porta, che si aprì piano. Si stampò un sorriso sul volto, sperando che fosse abbastanza convincente, e chiuse per bene l'accappatoio.

"Kaki. Che succede?" Le chiese la sorella, osservandola attentamente con i suoi profondi occhi nocciola, indagatori.

"Nulla piccola, ho solo lavato i denti prima di andare a dormire." Mentì, poi per distrarla le chiese. "Tu li hai lavati? È ora di dormire."

"Si, li ho lavati. Posso dormire con te?" Le chiese dolcemente la minore, con i suoi occhioni tristi. Lo sa. Ha capito anche questa volta. Spero solo che non abbia capito proprio tutto.

"Certo piccola. Vai a metterti il pigiama e raggiungimi a letto. Fila." La ragazzina uscì richiudendo la porta, e Camila prese un altro po' di collutorio ma qualsiasi cosa facesse, sembrava che quel saporaccio non volesse andar via. Almeno il suo odore era riuscito a toglierselo di dosso. Represse le lacrime, ne aveva lasciate scorrere già tante sotto la doccia, e non voleva che Sofi si accorgesse che aveva pianto. Si tamponò i capelli con un asciugamano, e decise che andava bene così.

Tornò in camera, con dolori ovunque nel suo corpo minuto, e indossò uno slip pulito, degli altri pantaloncini e una maglietta a maniche lunghe per non mostrare alla sorella i nuovi lividi. Sospirò. Negli ultimi tempi andava i giro sempre più coperta di quello che richiedeva il tempo mite. Che vita di merda. A volte vorrei farla finita.

Il viso della sorella apparve sull'uscio, accompagnata dall'immancabile bambola, e la tirò fuori da quel vortice di pensieri che l'attanagliava sempre più spesso quando suo padre la picchiava. Ma non si era mai spinto fino a quel punto. Si sentiva così male. E non solo per il dolore fisico di un rapporto non consensuale. Pensare che un padre lo permettesse, o peggio, che fosse una sua decisione, la fece rabbrividire dal disgusto. Verso i due uomini e verso sé stessa.

Sentì di nuovo la nausea bruciarle l'esofago, ma prese dei respiri profondi per scacciarla, concentrandosi sulla sua unica certezza: Sofi. La piccola Sofi, che in quel momento si stava accoccolando a lei, stringendole la maglietta all'altezza dell'addome e infilandole la testa nell'incavo del collo.

Aveva sempre pensato che la piccola cercasse conforto, solo di recente aveva capito che, al contrario, il conforto glielo stava offrendo. La strinse tra le braccia.

"Mi dispiace, Sofi. Prometto che a te non accadrà mai nulla del genere. Lo giuro."

La piccola si strinse ancora di più a lei, alzando i suoi occhioni nei suoi, ora lucidi. "Non deve succedere nemmeno a te. Non è giusto."

Non trovava le parole adatte a ribattere, così si limitò ad abbracciarla, accarezzandole i capelli fin quando non sentì il respiro lento e regolare che le indicò che la più piccola aveva ceduto al sonno.

"Ti proteggerò. La mia vita ora ha solo questo scopo. Lo giuro, ti proteggerò sempre."

Thinkin' About You - CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora