Capitolo 33

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Jack parcheggiò nel vialetto di casa Cabello, spegnendo l'auto. Le tre Cabello scesero dall'auto, ma mentre Sinuhe e Sofi si avviavano verso l'entrata, Camila si fermò ad aspettare Lauren. La corvina le sorrise dal sedile passeggero e si apprestò a scendere dall'auto, ma la mano di suo zio sul suo braccio la fermò. Capì che voleva parlare da solo con lei.

"Ti raggiungo dentro, Camz, ok?" La mora si morse il labbro, annuendo e seguendo quella che era la sua famiglia. Vedere quella casa la agitava, sentiva una strana sensazione nello stomaco. Voleva Lauren al suo fianco per entrare, così si sedette sui gradini della veranda ad aspettarla.

"Cosa c'è, zio?" Chiese Lauren, vedendo la ragazza che l'aspettava.

"Laur, vorrei che tu non passassi tanto tempo con questa ragazza." Lauren lo fissò sconvolta, senza parole. "Lo so che ci tieni a lei, si vede. Ma sei mia nipote e ti vedo come una figlia, e mi preoccupo per te."

"Ancora non capisco." Gli fece presente lei, aspettando una spiegazione che tardava ad arrivare. Lauren si passò una mano tra i capelli, mentre suo zio si passava una mano tra la barba.

"Quel Mahone, non l'hanno ancora trovato. Hanno seguito le tracce fino ad Atlanta. Il cellulare di Camila era in auto, doveva averlo perso senza accorgersene. Ma quando hanno trovato l'auto, lui non c'era, quindi è ancora a piede libero, e potrebbe essere abbastanza pazzo da tornare qui per riprendersela, o magari vendicarsi. E sinceramente, non voglio che tu sia qui, se dovesse accadere."

Mahone. Austin Mahone. Lauren non ci aveva più pensato, preoccupata com'era per le condizioni di Camila.

"Zio, non posso, lo sai. E non voglio, non voglio starle lontana." Sospirò, negando con la testa per sottolineare il concetto. "E poi sinceramente, non lo faccio tanto pazzo da tornare qui."

"Ma non possiamo saperlo, e non voglio che tu ti metta in pericolo!" Alzò la voce lo zio, esasperato.

"Non accadrà nulla." Gli disse Lauren, rassicurandolo con una mano sul braccio. Non avrebbe ceduto, testarda com'era, e lui sapeva che stava combattendo una battaglia persa in partenza.

"Promettimi solo che starete attente, qualsiasi cosa non ti convinca, mi devi chiamare. Chiaro?"

"Chiaro. Te lo prometto." Alzò gli occhi al cielo, prima di dargli un bacio sulla guancia e scendere dall'auto. Raggiunse la cubana, persa nei suoi pensieri. "Ehi piccola..." Le tolse i capelli dal viso quando lei alzò la testa, incrociando gli occhi con i suoi. "Che succede? Perché non sei entrata?" Camila si mordeva il labbro inferiore, indecisa, così prese posto accanto a lei, prendendole la mano nella sua. Incrociarono le dita, era una cosa che veniva loro naturale. E a Camila dava un senso di protezione, di sicurezza. Quel gesto le diede una spinta a parlare dei propri dubbi.

"Laur... cosa mi è successo? Io... io ho bisogno di sapere..."

"Camz... vorrei potertelo dire, ma i medici hanno detto che deve essere una cosa naturale. Forzarti a ricordare potrebbe essere... non lo so, un problema, forse."

"Che problema?"

"Non... non lo so, forse a livello psicologico, credo." Alzò le spalle, in effetti avevano semplicemente preso le parole dei medici come oro colato, senza chiedere spiegazioni. Forse perché era la cosa più facile da fare.

"E se non li riacquistassi mai? Ho diciotto anni di vuoto. O almeno, credo di averne diciotto, non so neanche quando sono nata." Si portò le mani al viso, nervosa. "Non so come comportarmi con le persone, se le conosco o meno, se magari mi stanno simpatiche o se mi stanno sul cazzo. Io... io... mi sento così... frustrata!"

Lauren attese, intuendo che ci fosse dell'altro.

"Sento che c'è qualcosa di strano, qualcosa che mi state nascondendo. Quella donna..." indicò la porta alle sue spalle. "è come se non fosse mia madre. Come se fosse una completa sconosciuta! E questa casa... mi da un senso di oppressione, di agitazione. Perché?"

Si voltò a fissare la corvina cercando il suo sguardo, dispiaciuto. Non le avrebbe detto quello che voleva sapere.

La delusione la spinse ad alzarsi e allontanarsi in direzione della porta.

"Camz..." Lauren la raggiunse, prendendole la mano. "Una settimana. Se entro una settimana non ricorderai nulla, ti dirò tutto ciò che so."

Camila non era del tutto convinta, ma gli occhi di Lauren, occhi che la stregavano ogni volta che li incrociava, erano sinceri. Strinse la mano della corvina nella sua, accettando quel compromesso. "Entri con me?"

La corvina sorrise, annuendo. Entrarono nella casa, stranamente buia per quell'orario. A tentoni cercarono l'interruttore della corrente, riuscendo alla fine ad illuminare la stanza. Sobbalzarono all'urlo di "Sorpresa". Oltre alle loro amiche, c'erano la famiglia di Lauren al completo, e quella di Dinah.

"Scommetto che ha organizzato tutto tua sorella..." Ridacchiò la corvina, presentandole di nuovo i presenti. Camila si sentiva a disagio, erano tutti felici di vederla, mentre lei non sapeva nemmeno chi era la persona che la stava stringendo. Si guardò intorno. Non sapeva perché, ma quella casa le dava i brividi. Così impersonale, non una foto di famiglia.

Il disagio cresceva di minuto in minuto, sentiva un senso di oppressione a restare lì dentro. Qualcosa di familiare iniziava a farsi sentire dentro di sé: il bisogno di allontanarsi, di isolarsi da tutto e tutti. Cercò con lo sguardo Lauren, l'unica persona che avrebbe potuto calmarla, tranquillizzarla. Stava parlando con le loro amiche. Le mancava l'aria. Doveva uscire di lì.

Silenziosamente raggiunse la porta, richiudendosela alle spalle mentre usciva nell'aria fresca, cercando di respirare. Quasi si accasciò sui gradini della veranda, tenendosi al parapetto mentre cercava di far entrare un po' di aria nei polmoni.

"Brutta giornata?" La voce di un ragazzo la spaventò.

"Direi di si." Rispose a stento, dopo aver trovato un po' di respiro. "Prima che me lo chiedi, non mi ricordo di te, non mi ricordo un cazzo di nulla, quindi scusa se non ti saluto o non faccio gli onori di casa." Alzò per la prima volta gli occhi sul ragazzo, moro, alto. Niente, non gli diceva nulla. C'era solo quel senso di disagio, qualcosa che le diceva che c'era qualcosa di sbagliato in lei. "Sei un vicino, un amico o cosa?" Fece finta di interessarsi.

"Si, qualcosa del genere." Il ragazzo sorrise, sollevato. "Quindi... non ricordi nulla?"

"No, cazzo. E nessuno vuole dirmi cosa mi è accaduto. Ti sembra una cosa normale?" Sbottò, nervosa. Il ragazzo ridacchiò, guardandosi furtivamente intorno. Si avvicinò, abbassando la voce per farsi udire solo da lei.

"Io so cosa ti è successo, Camila. Se vuoi te lo racconto, ma..." si guardò ancora una volta intorno. "non qui..." Alzò le spalle, indicando la casa.

"Si preoccuperanno se mi allontano."

"No, tranquilla, non andremo lontani. Facciamo una passeggiata qui vicino, mentre ti dico tutto. Giusto per sgranchirci le gambe."

"Ok." Camila si alzò. "Sei davvero gentile..." Cazzo, come doveva chiamarlo?

"Ah già, non ti ricordi, vero..." Intuì il ragazzo. "Sono Shawn... Il tuo vecchio, caro amico, Shawn."

Thinkin' About You - CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora