11 - Pensieri confusi

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Can

Lascio Londra con un volo diretto a Belgrado, rimarrò il primo mese in Serbia per poi muovermi tra  Bosnia, Montenegro e Kosovo,  forse anche Albania.

Mi rendo conto di non essere assolutamente concentrato sul lavoro per cui sono stato ingaggiato.
Sono molto confuso e non riesco a smettere di pensare a quello che è successo.

Come sono arrivato fino a qui?

Quanto in realtà mi sono lasciato manipolare da mia madre e da Polen per arrivare ad una  decisione così drastica e quanto invece è dovuto alla mia intransigenza?

Trascorro la prima settimana nella parte pianeggiante della Serbia per poi cominciare la lenta risalita verso le Alpi Dinariche, lavoro meccanicamente senza riuscire a concentrarmi e ad appassionarmi a quello che sto facendo.
Mi sento vuoto, mi sento per la prima volta nella mia vita completamente perso e a metà, sento che a mancarmi è una parte essenziale e non voglio ammettere neanche con me stesso cosa sia a mancarmi, o meglio chi.

Penso troppo spesso a lei, sono lacerato al pensiero che sia convinta che sia tornato insieme  a Polen e, ad un certo punto, arrivo alla determinazione che non sia  giusto che pensi il peggio di me per colpa di quelle due donne  intriganti. Mi faccio coraggio e una sera decido di  comporre il suo numero per spiegarle cosa sia successo in realtà.
Il telefono squilla a lungo mentre il mio cuore batte impazzito, ma è tutto per niente, non risponde. Chiamo più volte con lo stesso esito e alla fine le invio un messaggio dicendole che vorrei parlarle,  vedo comparire la spunta di avvenuta lettura e da quel momento il suo telefono comincia a  risultare sempre  irraggiungibile.

Sento un dolore sordo quando  arrivo a capire che non intende rispondere, non intende parlare con me. Avrei voluto solo chiarire il malinteso creato da quello stupido articolo, avrei solo voluto spiegarle cosa era successo veramente... mi rendo conto in un lampo di consapevolezza di star ripetendo nella mia mente esattamente le parole con le quali Sanem mi aveva supplicato di ascoltarla dopo la nostra lite al capanno.

In fin dei conti cosa mi chiedeva? Voleva  CHIARIRE, voleva SPIEGARE perchè aveva ceduto la formula del profumo a Fabbri ed io sono stato categorico, non ho voluto in nessun modo ascoltare.  Ora lei sta facendo  la stessa cosa con me e devo ammettere che fa male, accidenti se fa male non essere preso in considerazione, essere categoricamente ignorato.

Mi rendo conto ora di essere stato testardo ed ingiusto, avrei dovuto lasciarle la possibilità di spiegare la situazione come io vorrei  fare adesso con lei. Forse alla fine le cose non si sarebbero appianate comunque oppure chissà... e quel chissà diventa per me uno spiraglio che si apre in una porta che avevo deciso fosse chiusa definitivamente e che, ora, invece  potrebbe  significare  tutto.

Passano i giorni, passano le settimane, passa il primo mese ed io ho smesso di provare a chiamarla,  ma quel "chissà" mi perseguita come se fosse il mio peggior nemico. Le giornate sulle montagne impervie tengono corpo e mente occupata nel lavoro ma le notti, le notti diventano un supplizio fatto di "se" e "chissà".
Il tempo passa, ma non riesco a lasciare andare quel che è stato per tornare alla vita libera e spensierata che vivevo prima di lei, non ci riesco. Non riesco a fare quello che mi ero riproposto al momento della partenza, andare avanti con la mia vita senza pensare a quello che mi sono lasciato alle spalle, a chi ho lasciato dietro di me.

Le mie notti sono popolate di sogni che in qualche modo mi permettono per qualche istante di non sentire quel peso costante in mezzo al petto. Nei miei sogni è ancora mia e mi sorride con quel sorriso che mi ha fatto perdere da subito testa e cuore.
Nei miei sogni di lei mi sento di nuovo vivo e vitale, mi sento completo come lo sono stato nella mia vita solo al suo fianco.

Il viaggio dell'albatrosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora