OGGI
Rientrata dalla gita con Ayan e il piccolo, Sanem decise di chiamare Metin per accertarsi che quello che le aveva detto Can fosse vero.
"Pronto Metin? Ciao sono Sanem, hai qualche minuto per me?"esordì.
Pur essendo diventati ottimi amici, non si sentivano spesso. C'era una sorta di riserbo tra di loro, probabilmente dovuto al fatto che entrambi, seppur in modo diverso, erano legati a Can e Can, per tacito accordo, era un argomento ingombrante, di cui non parlavano mai, ma che aleggiava tra loro come una presenza sgradita.
Dopo la nascita di Efe, Metin l'aveva aiutata a trovare un nuovo lavoro perché lei si era rifiutata di rimanere nel suo studio. Voleva dare un taglio netto alla sua vita precedente e ricominciare daccapo.
"Ciao Sanem. Lo sai che per te ho sempre tempo... Dimmi, che succede?"chiese pregando in cuor suo che il motivo non fosse quello che immaginava, ma purtroppo fu proprio così.
"Can è stato qui, questa mattina. Voleva vedere Efe e mi ha detto di averti affidato le pratiche per il riconoscimento...è vero?"
Metin chiuse gli occhi e sospirò: "Sì è così!"
"Perché non me l'hai detto", volle sapere.
"Can mi ha chiesto di non parlartene...voleva essere lui a dirtelo!"
"Capisco... Cosa vuole da me, dopo tutto questo tempo? Vuole portarmelo via?"chiese ancora, sull'orlo delle lacrime.
"Coooosa? No, assolutamente no Sanem! Come puoi pensare a una simile assurdità? Lui vuole solo far parte della vita di suo figlio..."
"Spero tu abbia ragione Metin, perché non lo sopporterei!", disse riagganciando subito dopo. Aveva saputo quello che le interessava e non voleva ascoltare altro; la notte le avrebbe portato consiglio, pensò.
Appena terminata la telefonata con Sanem, Metin si affrettò a chiamare Can.
"Dannazione Can, si può sapere che lei hai detto", lo aggredì, senza neppure salutarlo.
"Metin calmati! Si può sapere di cosa stai parlando?"
"Sto parlando di Sanem, di chi altri! L'ho appena sentita. Era sconvolta! E' convinta che tu voglia portarle via il bambino. Fortuna che mi avevi giurato che ci saresti andato piano!"
"E infatti è così. Non so come abbia potuto pensare una cosa simile, non lo farei mai e tu dovresti saperlo."
"Non devi convincere me Can, ma lei. Credimi, è spaventata a morte. Ti avevo avvertito di quanto fosse fragile, ma, come al solito, hai voluto fare di testa tua..."
"Le ho solo chiesto di poter vedere Efe", lo interruppe Can "e lei ha acconsentito. Poi ho accennato al fatto che voglio riconoscerlo e far parte della sua vita...tutto qua!"
"E ti pare poco? Sei sparito da un giorno all'altro e sei ricomparso all'improvviso dopo tre anni chiedendo di vedere il bambino che, te lo ricordo, avevi messo un dubbio fosse tuo! Proprio la delicatezza di un elefante, lasciatelo dire..."
"Va bene Metin, ho capito, le parlerò e cercherò di tranquillizzarla...ti do la mia parola!"
"D'accordo, ma fammi sapere."
"Contaci!"
Can guardò l'ora. Voleva chiarire quella situazione quanto prima, ma era tardi. Anche non trovando traffico sarebbe arrivato da lei nel cuore della notte e non gli pareva fosse il caso. Avrebbe dovuto aspettare l'indomani. Sarebbe passato prima in ufficio e, poi, sarebbe andato a casa sua e le avrebbe spiegato che non doveva temere nulla da lui, assolutamente nulla.
Con un sospiro si diresse in camera, lasciandosi cadere sul letto e rimanendo a fissare il soffitto, ben sapendo che più del sonno sarebbero stati gli incubi a fargli compagnia, come ormai accadeva ogni notte da quando era tornato in Turchia. Era qualcosa che non riusciva a controllare. I medici lo chiamavano DSPT, disturbo da stress post traumatico. Lui sapeva solo che gli impediva di dormire e che lo svegliava all'improvviso col cuore in gola, il respiro affannato e il terrore negli occhi. Allora si alzava e si recava in salotto o in giardino dove aspettava le prime luci del giorno.
In quei momenti l'unico conforto erano i ricordi, i ricordi di lei, di Sanem, di quello che erano stati, di quello che avevano vissuto. Vi si rifugiava come un assetato che trova una sorgente d'acqua, e si sforzava di rievocare ogni singolo dettaglio. Gli sembrava, quasi, di rivedere il suo sorriso, di riudire la sua voce, che timidamente gli diceva di amarlo, di risentire il tocco leggero delle sue mani che gli accarezzavano il viso, ma quel sollievo durava poco perché poi nella sua mente si riaffacciava, puntuale, quell'ultimo incontro che aveva segnato la fine di tutto. L'eco delle parole che le aveva sputato addosso non lo abbandonava mai come mai lo avrebbe abbandonato lo sguardo ferito, deluso e amareggiato che lei gli aveva rivolto prima di andarsene.
E ogni volta si chiedeva come aveva potuto essere così meschino con lei che gli si era donata con totale fiducia, senza riserva alcuna. Nemmeno per un attimo aveva dubitato che quel bambino fosse suo, eppure glielo aveva fatto credere. Perché, dannazione, perché?
Forse non era capace di amare? Aveva avuto paura che l'amore lo avrebbe reso debole, vulnerabile? Era stato spaventato dall'idea che un altro essere potesse dipendere da lui e che, di conseguenza, lui avrebbe dovuto prendersene cura? Probabilmente erano state tutte queste cose messe insieme. Era un paradosso: aveva avuto il coraggio di andare in un territorio in guerra, conscio di rischiare la vita e non aveva avuto il coraggio di amare fino in fondo come, invece, aveva fatto lei.
Finalmente arrivò l'alba, che scacciò la notte e i suoi demoni e Can, dopo una doccia rigenerante e una veloce colazione, si preparò per incontrare nuovamente Sanem.

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Ricominciare da Noi
RomanceLe parole possono ferire più di un coltello dalla lama affilata e i silenzi possono costruire muri difficili da abbattere. Amare, allora, diventa difficile. Un atto di coraggio indispensabile per ricominciare da dove Can e Sanem si sono lasciati.