Capitolo 10

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OGGI

Più ripensava alla conversazione avuta con Sanem, più Can si convinceva che lei non gli avesse detto tutta la verità.

Quando l'aveva guardata negli occhi, vi aveva scorto un dolore così profondo e vivo da rimanerne annientato. Avrebbe voluto insistere, ma era così turbata che aveva preferito lasciar perdere, almeno per il momento.

Nelle ultime settimane, inoltre, le era parsa più taciturna del solito e spesso la sorprendeva a fissare il vuoto con la mente lontana mille miglia. Si era chiesto se fosse la sua presenza che la infastidiva e, nel dubbio, aveva preferito starle lontano, in modo da invadere il meno possibile i suoi spazi. Capiva bene che essere piombato così all'improvviso nella sua vita doveva averla sconvolta, ma aveva già perso tanto, troppo tempo e temeva che se avesse aspettato ancora, qualcun altro avrebbe preso il suo posto.

In realtà era molto sorpreso che ciò non fosse già accaduto. Sanem era una giovane, splendida donna, che non passava certo inosservata, ma lei sembrava ignorare l'effetto che faceva sugli uomini e non ricambiava mai gli sguardi di apprezzamento che le rivolgevano.

Possibile, si chiedeva Can, che dopo di lui non ci fosse stato nessun altro? Se così fosse, lui ne sarebbe stato felicissimo perché significava che Sanem era stata solo sua, ma voleva anche dire che l'aveva ferita talmente tanto, che lei, adesso, non si fidava più di nessuno e preferiva rimanere da sola.

Erano passate all'incirca due settimane dalla visita pediatrica, quando Can, un venerdì pomeriggio, arrivando da lei, trovò solo Ayan.

"Buona sera Ayan, Sanem non è ancora rientrata?"chiese sorpreso.

"No, mi ha chiamato dicendomi che si sarebbe trattenuta in ufficio fino a tardi e che poi si sarebbe fermata a cena fuori. Ha chiesto a me di farti compagnia e di mettere a letto Efe."

"Capisco", rispose piuttosto contrariato Can.

Ad Ayan non sfuggì il suo improvviso cambio d'umore, così, giusto per rigirare il coltello nella piaga, domandò: "C'è qualcosa che non va?"

"Nooo... Mi chiedevo solo chi starà con il bambino questa notte, se lei farà tardi..."

"Io naturalmente. Non è la prima volta che capita..."

"Vuoi dire che è già successo che passasse la notte fuori?"chiese ancora Can, fingendo un'indifferenza che in realtà non provava.

"Voglio dire che ogni tanto Sanem si prende qualche libertà", rispose Ayan che godeva nel vedere Can così seccato.

"Capisco", ripeté quest'ultimo a denti stretti.

"No, tu non capisci", lo aggredì Ayan che non vedeva l'ora di togliersi qualche sassolino dalla scarpa e difendere l'amica. "Lei ha tutto il diritto di svagarsi un po'. In questi anni si è dedicata anima e corpo a Efe, dimenticandosi, quasi, di essere una donna. Ha messo i suoi desideri e i suoi bisogni all'ultimo posto nella scala delle sue priorità. Prima veniva il bambino, poi il lavoro, quindi i suoi genitori e i suoi amici e quando, finalmente, poteva dedicarsi un po' a se stessa, era talmente esausta da rinunciarvi. Nel bene e nel male ha sempre deciso da sola, senza chiedere mai nulla a nessuno, assumendosi tutte le responsabilità di queste scelte...e, credimi, alcune decisioni non sono state facili. Finalmente aveva ritrovato un po' di serenità, ma sei ricomparso tu, mettendo tutto in discussione... E ti sorprendi, addirittura ti arrabbi, se lei prova a divertirsi un po'? Non le hai promesso niente Can, l'hai allontanata da te e lei non ti deve nessuna spiegazione", concluse puntandogli il dito contro.

"Hai ragione, hai perfettamente ragione", disse Can e senza aggiungere altro si diresse verso la camera di Efe per giocare con suo figlio.

Quella sera, dopo avergli augurato la buona notte, Can salì sul suo pick up ma non si mosse da lì.

Voleva aspettare Sanem. Voleva vedere chi frequentava. Era geloso, arrabbiato e preoccupato, ma, soprattutto aveva paura di essere arrivato troppo tardi.

Verso l'una di notte, una macchina si fermò davanti alla villetta e ne scese Sanem, accompagnata da un uomo. Nel buio Can non riusciva a vederne l'aspetto. Era alto, magro e dal portamento dedusse che fosse giovane. Giunti davanti alla porta, lui, prendendole la mano, l'attirò verso di sé e la baciò sulla guancia lasciandole poi una delicata carezza. Can chiuse gli occhi, serrò la mascella e strinse con forza il volante. Avrebbe voluto gridare per la rabbia, la gelosia, la frustrazione che provava e che sapeva bene fossero ingiustificati, ma riuscì a trattenersi e si impose di calmarsi.

Respirò a fondo più volte, fino a riacquistare il controllo, poi scese dal pick up e si avviò verso l'ingresso, dove Sanem stava ancora trafficando con la serratura.

"Ciao", le disse "ti serve aiuto?"

Lei sobbalzò e si girò spaventata "Cosa ci fai ancora qui?"

"Ero in pensiero per te..."

Lei rise. Una rista forzata, amara "Non devi, so badare a me stessa. Ho imparato a farlo in questi anni quando tu non c'eri"

Colpito e affondato, pensò Can. "Mi dispiace", disse.

"Continui a dire che ti dispiace, di cosa esattamente? Di avermi mandata via insinuando che io fossi stata con altri uomini? Di essertene andato? Di non aver visto nascere tuo figlio? O, forse, ti dispiace che io stia cercando di rifarmi una vita senza di te?"

Adesso era davvero arrabbiata. Perché stargli accanto le scatenava sempre quella tempesta di emozioni, che le faceva perdere razionalità e la rendeva vulnerabile? Perché aveva ancora un tale potere su di lei, mentre lui sembrava indifferente?

"Sto aspettando una risposta Can", continuò senza riuscire più a controllare le lacrime, che avevano cominciato a rigarle il volto.

Lui si avvicinò cauto, gli si spezzava il cuore vederla in quello stato, ma lei indietreggiò. Se l'avesse toccata sarebbe crollata. Lui si fermò "Avrei voluto tornare da te Sanem, credimi, chiederti di perdonarmi, di darmi una seconda possibilità, ma non ho potuto..."

"Peccato, perché te l'avrei data Can...ma adesso è tardi..."

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