OGGI
La Casa della Fotografia di Parigi, o Maison Européenne de la Photographie, in francese, è un luogo dedicato all'arte della fotografia, che accoglie gli scatti dei più grandi fotografi del mondo. Accanto alla collezione permanente vengono spesso ospitate delle mostre temporanee ed era proprio lì che Kevin e Can, grazie all'interessamento della madre di quest'ultimo, erano riusciti a esporre le immagini che avevano scattato in Congo. Ciascuna fotografia era accompagnata da una didascalia che riportava la data e il luogo in cui era stata scattata e pannelli esplicativi, disposti lungo il percorso espositivo, spiegavano, a grandi linee, le dinamiche del conflitto, che affliggeva ormai da anni quella parte dell'Africa.
Quando Metin e Sanem arrivarono, la cerimonia d'inaugurazione si era appena conclusa e la gente cominciava a disperdersi tra le varie sale.
Sanem individuò immediatamente Can, che, di spalle, stava chiacchierando con un uomo dai capelli rosso-castano e una bellissima donna sulla cinquantina che gli assomigliava in maniera sorprendente.
"Andiamo a salutarli" le disse Metin e prima che lei potesse opporsi la condusse da loro.
"Buonasera!" esordì porgendo la mano alla donna "E' davvero un piacere rivederla, Camille. Il tempo per lei sembra si sia fermato", e poi, rivolgendosi all'uomo, proseguì "Noto con piacere che ti sei definitivamente ristabilito Kevin...ma lasciate che vi presenti una cara amica che ha accettato di accompagnarmi: Sanem Aydin. Sanem questo è Kevin Ross, il giornalista che ha accompagnato Can in Congo e questa splendida donna è Camille, la madre di Can".
Un silenzio imbarazzante calò nel gruppo, mentre Camille e Kevin si scambiavano uno sguardo interrogativo.
"Buonasera", li salutò Sanem, che in realtà avrebbe voluto scappare a gambe levate perché si sentiva davvero a disagio.
Fortunatamente Kevin si riprese subito dallo stupore e le strinse calorosamente la mano dicendo: "Tu devi essere l'angelo..."
"Come scusa?" fece Sanem che cominciava a non capire più nulla.
"Non farci caso", intervenne Can che la prese per un braccio e la portò in disparte.
"Come mai sei qui?" le chiese sorpreso, "Ed Efe?"
"Sta bene è con Ayan. Quanto a me, sai che ti ho sempre stimato come fotografo e volevo vedere con i miei occhi il motivo per il quale mi hai lasciato... Sei arrabbiato?"
"No! In realtà sono contento che tu sia qui! E suppongo di dover ringraziare Metin per questo."
"Già", rispose Sanem.
In quel momento furono raggiunti da Camille. "Mi dispiace disturbarvi, ma alcune persone nell'altra sala stanno chiedendo di te Can..."
"Va bene, mamma, vado subito... Ci vediamo più tardi Sanem."
Rimaste sole le due donne si osservarono a vicenda. Can non aveva mai parlato di sua madre. Si era limitato a dire che era una giornalista francese e Sanem si chiese come fosse il loro rapporto. Camille sembrò leggerle nella mente perché disse: "Ti prego di scusarmi Sanem, non sono stata molto cordiale prima, ma io e Can ci siamo ritrovati solo di recente, dopo il suo rientro dal Congo e io ho saputo della tua esistenza solo perché lui ti nominava spesso, ma in realtà non so molto di te..."
"Non si preoccupi. Io e Can ci siamo frequentati per un breve periodo anni fa, ma ora siamo solo amici."
"Amici?!"fece eco Camille sollevando perplessa un sopracciglio "Ne sei sicura? Perché io ho avuto l'impressione che in quest'ultimo anno tu abbia occupato costantemente i pensieri di mio figlio. Comunque sono felice di averti conosciuta. Ora ti lascio guardare la mostra in tranquillità."
Una volta che si fu allontanata, Sanem si sforzò di non pensare alle stranezze che aveva appena udito nei suoi confronti e si dedicò alle fotografie.
La maggior parte ritraeva bambini col ventre gonfio per la carenza di proteine, gli occhi infossati e il corpo scheletrico, ma, nonostante tutto, molti erano sorridenti davanti all'obiettivo. Poi c'erano immagini di madri con i figli attaccati al seno, forse, più per calmare i loro pianti che per nutrirli. Altri scatti ancora ritraevano soldati, poco più che bambini, che, orgogliosi, imbracciavano un fucile, pronti a morire per una causa che neppure conoscevano. Infine c'erano fotografie di interi villaggi dati alle fiamme, saccheggiati, devastati.
Erano tutte immagini dolorosamente belle, che arrivavano dritte al cuore per la loro crudezza, ma la guerra era quello, e così doveva essere mostrata, senza filtri che potessero ammorbidirne l'effetto.
"Cosa ne pensi?" chiese una voce alle sue spalle. Era Kevin.
"Sono belle, anche se non credo che in queste circostanze il termine bello sia il più appropriato..."
"Capisco cosa vuoi dire e ti do ragione. Non c'è nulla di bello nella guerra, solo tanto dolore e tanta ingiustizia. La guerra è sicuramente l'invenzione più orribile e inutile dell'uomo e la cosa più triste è che ancora non ce ne siamo resi conto. Siamo convinti che non ci riguardi, ma in realtà quei bambini potrebbero essere i nostri figli, quelle donne le nostre mogli e quei villaggi le nostre case..."
"Perché hai voluto andare lì?" gli chiese interessata Sanem.
"Perché il mondo ha il diritto/dovere di sapere e perché voglio illudermi che un giorno capirà."
Chiacchierando, intanto, erano giunti davanti alla fotografia che chiudeva la mostra. A differenza delle altre non aveva nessuna didascalia e ritraeva il petto e la schiena di un uomo con evidenti segni di torture.
"E questa?" domandò Sanem
"Questa", rispose Kevin commosso "rappresenta tutte le vittime della bassezza umana."
"Ma lui chi è?" volle sapere ancora Sanem.
"Lui è tutti e nessuno, perché la guerra ti priva anche della tua identità" fu la risposta.
Sanem osservò ancora un istante quell'immagine e più la guardava più si sentiva in simbiosi con quella persona, quasi riuscisse a percepire lei stessa, sulla propria pelle, tutto il dolore che quelle torture dovevano averle provocato.
Era una sensazione davvero strana che le fece venire la pelle d'oca. Poi le venne in mente una cosa e rivolgendosi di nuovo a Kevin chiese: "Posso farti un'ultima domanda?"
"Certo!"
"Perché prima, quando ci hanno presentato, mi hai chiamato angelo?"
"Beh, in realtà non sono stato io a farlo, ma Can, quando mi ha parlato di te."
"Can ti ha parlato di me?" chiese sorpresa.
"Sì, quando ci siamo conosciuti a Kinshasa, ma perché ti meravigli? So che avete avuto dei problemi, ma sulla lealtà e onestà di Can io non ho mai avuto dubbi e dopo quello che ha fatto per me gli affiderei la mia vita a occhi chiusi. Questa però è un'altra storia!"

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Ricominciare da Noi
RomanceLe parole possono ferire più di un coltello dalla lama affilata e i silenzi possono costruire muri difficili da abbattere. Amare, allora, diventa difficile. Un atto di coraggio indispensabile per ricominciare da dove Can e Sanem si sono lasciati.