OGGI
Sanem soffocò un singhiozzo, ma non riuscì a trattenere le lacrime che cominciarono a scenderle silenziose lungo le guance.
Cos'era successo in Congo? Cosa gli avevano fatto? Perché proprio a lui?
Poi, lentamente, si rese conto che avrebbe potuto perderlo per sempre, che l'ultima immagine, che avrebbe potuto avere di lui, era quella del loro ultimo incontro, quando lei gli aveva voltato le spalle e se n'era andata. Non ci aveva mai pensato prima, forse perché, inconsciamente, aveva sempre sperato che quella non fosse la fine della loro storia, lei non voleva che lo fosse...
Cercando di non svegliarlo gli scivolò accanto, rannicchiandosi vicino a lui, in modo da sentirne il respiro, l'odore, il battito del cuore e accompagnata da quella musica si addormentò.
Era ormai l'alba quando Can si svegliò.
Sentiva qualcosa solleticargli il braccio e cercò di spostarlo, ma senza successo. Aprì piano gli occhi e davanti al suo viso trovò quello ancora addormentato di Sanem. Era raggomitolata accanto a lui, quasi cercasse il suo calore o un timido contatto.
Allora non aveva sognato! Quelle carezze delicate non le aveva immaginate! Era stato proprio il suo angelo! Si scostò leggermente per guardarla meglio. Allah quanto era bella: l'espressione rilassata, le labbra leggermente dischiuse, le lunghe ciglia che ombreggiavano le gote, le mani chiuse a pugno sotto il mento... Avrebbe voluto tirarsela vicino e abbracciarla ma si trattenne.
Ripensò alla sera precedente, a tutta la dolcezza che gli aveva dimostrato e sorrise, perché, forse, c'era ancora una speranza.
Si alzò e controllò Efe, che nel lettino accanto dormiva ancora profondamente e decise di andare a preparare la colazione: era il minimo che potesse fare.
Il profumo del caffè appena fatto, poco dopo, svegliò Sanem. Si guardò attorno, disorientata, non riconoscendo subito la camera, poi sentì dei rumori provenire dall'altra stanza, intravide la sagoma di Can e allora ricordò. Lo sgomento si impossessò nuovamente di lei, ma si fece forza e lo raggiunse.
"Buongiorno", sussurrò.
"Buongiorno", rispose Can di rimando, sorridendole e appoggiandosi al bancone della cucina "spero che tu sia riuscita a dormire nonostante la mia presenza..."
"Oh sì, non ti preoccupare... Tu piuttosto?"
"Era da un pezzo che non riposavo così bene e lo devo a te...grazie!"
Era chiaro come il sole che entrambi volevano di più, ma una sorta d'imbarazzo o paura impediva a ciascuno di fare quel tanto atteso primo passo.
Alla fine fu Sanem a parlare: "Perché non me lo hai detto?"
"Detto cosa?"
"Quello che è successo in Congo... Ho visto le cicatrici e ho riconosciuto la fotografia esposta alla mostra..."
Can sospirò "Perché non giustifica il male che ti ho fatto!"
"Ma spiega perché non sei tornato prima..."
"Avrebbe davvero fatto differenza Sanem? La verità è che io non avrei dovuto andarmene, o almeno, non in quel modo."
"E allora perché l'hai fatto?"
Can si rese conto che era giunto il momento di mettersi a nudo.
"Perché ho avuto paura... Mi ero innamorato di te come mai mi era capitato prima. Ti eri presa ogni parte di me: la mia mente, il mio cuore, la mia anima. Non sapevo più dove finissi io e dove cominciassi tu. Avevo perso la mia indipendenza perché tu eri diventata droga per me, non facevo che pensare a te e mi sono spaventato. Se tu mi avessi lasciato io mi sarei perso. Quando mi hai detto che aspettavi un bambino non ho saputo che fare. Come avrei potuto prendermene cura se non ero neppure in grado di badare a me stesso?... Allora ho scelto la via più semplice: scappare, dando un taglio netto a tutto questo... ma non ho risolto niente...perché tu sei rimasta sempre dentro di me..."
Sanem aveva ascoltato ogni parola, incredula.
Quando lo aveva conosciuto, quello che l'aveva colpita, oltre all'aspetto, erano state la sua forza e la sua determinazione: un uomo che sapeva ciò che voleva! Ora, invece, scopriva che era tutto un bluff, una maschera che aveva indossato per nascondere la sua fragilità, ma ora quella maschera era caduta e la verità, finalmente, era venuta a galla. Aveva sempre pensato che fosse stato Can a iniziarla all'amore e invece scopriva che era stato l'esatto contrario.
"Avresti dovuto parlarmene, confidarti con me..."
"Hai ragione, adesso lo so... Ma adesso è tardi..."
Si guardarono per un lungo istante, immobili, uno di fronte all'altra. Negli occhi il pentimento per gli errori commessi e la sofferenza che quegli errori avevano portato.
Non potevano tornare indietro, ma potevano andare avanti, ripartire da lì.
Can era stato sincero, ora toccava a Sanem.
"Io ti amo ancora Can, non ho mai smesso di farlo... Non ti prometto che sarà facile e che tutto andrà bene, ma possiamo provarci, possiamo ricominciare da noi..."gli disse.
Lui la guardò pensando che non la meritava, ma la vita aveva voluto concedergli una seconda possibilità e lui non l'avrebbe sprecata.
"Non chiedo altro Sanem, solo di amarti come non ho avuto il coraggio di fare prima."
Poi, lentamente, si avvicinò a lei, le incorniciò il viso con le mani e fissando gli occhi nei suoi si chinò sulle sue labbra, che non aspettavano altro che quel tocco.
Fu un bacio salato, del sapore delle lacrime che nessun dei due riuscì più a trattenere, un bacio che chiedeva e dava perdono, un bacio che sanava le ferite, che alleviava la loro sete di amore, colmava la mancanza l'uno dell'altra, un bacio che esprimeva il loro essere una cosa sola, indissolubile, giusta... Si staccarono sorridenti quando udirono Efe borbottare e chiamare la mamma.
"Non finirò mai di ringraziarti per quella piccola peste di là" le disse Can.
"E' vero", confermò Sanem "non ci siamo fatti solo del male e lui ne è la prova!"
Poi, mano nella mano lo raggiunsero.

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Ricominciare da Noi
RomantikLe parole possono ferire più di un coltello dalla lama affilata e i silenzi possono costruire muri difficili da abbattere. Amare, allora, diventa difficile. Un atto di coraggio indispensabile per ricominciare da dove Can e Sanem si sono lasciati.