Capitolo 32

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OGGI

Avevano parlato, finalmente non c'erano più segreti tra loro, ma ricominciare, ripartire non era facile. Si sentivano "rotti", "spezzati" e per quanto avessero ricucito le loro ferite, rimanevano pur sempre le cicatrici. Il loro "tessuto" non era più immacolato e questo li rendeva guardinghi, timorosi di compiere delle gesta che potessero portare alla lacerazione di quel tessuto.

Si amavano, lo sapevano, ma avevano perso la loro spontaneità, la loro giocosità, soprattutto Sanem.

La gravidanza proseguiva bene, ma i medici le avevano raccomandato riposo assoluto e tranquillità e questo voleva dire passare la maggior parte del tempo a letto, sul divano o sulla sdraio in giardino. Per non lasciarla sola, Can aveva trasferito il suo ufficio a casa, riuscendo, così, ad occuparsi anche di Efe insieme ad Ayan.

I genitori di Sanem nell'apprendere la notizia non avevano fatto i salti di gioia, soprattutto sua madre, ma si erano resi disponibili in caso di necessità. Suo padre aveva fatto loro visita un paio di volte, soprattutto per vedere il nipote, mentre sua madre continuava, ostinata, a non voler parlare con nessuno dei due.

Camille, invece, ammirava il loro coraggio, che, a suo dire sarebbe stato premiato e aveva promesso che a breve sarebbe tornata a trovarli.

Mano a mano che il tempo passava, però, l'umore di Sanem peggiorava. Le avevano proibito di prendere in braccio Efe e Can, da quando aveva saputo che la sua gravidanza era a rischio, non l'aveva più sfiorata. Cominciò a sentirsi un peso per gli altri che dovevano occuparsi di tutto e

pian piano si chiuse sempre più in stessa, smise quasi di parlare, divenne apatica e perse interesse per ogni cosa.

Can cominciò a preoccuparsi ma non sapeva cosa fare. Sentiva che si stava allontanando, ogni giorno di più, ma per quanto facesse non riusciva a raggiungerla e a riportarla da lui.

Lei continuava a dirgli che andava tutto bene, ma non sorrideva più e quando lo guardava i suoi occhi erano vuoti. Faceva tutto quello che gli altri le ordinavano, senza opporsi mai, come una bambola di pezza priva di volontà. Era convinta di averli delusi, perché con la sua decisione li aveva costretti a dei cambiamenti che altrimenti non avrebbero mai scelto e ora cercava di essere "invisibile" per dar fastidio il meno possibile.

Sembrò rianimarsi un po' quando arrivò Camille. Si sentiva a suo agio con lei, una donna dalla mentalità aperta con la quale si poteva parlare di tutto e che conosceva a fondo l'animo umano.

Camille comprese il disagio di Sanem ma non si permise di giudicare e nemmeno di dare consigli, si limitò ad ascoltare per poi parlarne con Can.

"Non riesce a perdonarsi per averti deluso" gli confidò una sera.

"Non mi ha deluso..."

"Oh sì che l'ha fatto Can, altrimenti non saresti così freddo e scostante con lei, pensaci..."

Lui sospirò e poi ammise: "Non so cosa mi stia succedendo, mamma, ma non riesco a vederla più come prima..."

"Forse perché hai scoperto che anche lei è umana, esattamente come te e tutti noi... E anche lei commette errori, è fragile ed in questo momento non chiede altro che essere amata, Can. Ha sconvolto la sua vita per te: ha lasciato il lavoro, cambiato casa, è andata contro la sua famiglia, ha accettato una gravidanza a rischio e tu, tu cos'hai fatto per lei? Ha sbagliato a non parlarti dei suoi problemi, è vero, ma non ha fatto del male a nessuno... Perché la stai allontanando da te?"

"Questo non è assolutamente vero..."

"Ne sei sicuro? Ogni volta che le neghi uno sguardo, un sorriso, un abbraccio, una carezza tu la allontani... Capisco che non potete rischiare, che lei deve stare a riposo, ma tu con il tuo timore anche solo di toccarla, con il tuo stupido orgoglio ferito, la stai uccidendo Can. E se la perderai, temo, che stavolta sarà per sempre!"

Quando sua madre smise di parlare, Can rimase in silenzio e ripensò agli ultimi giorni, a come si era comportato con Sanem, a cosa le aveva detto e si rese conto che Camille aveva pienamente ragione.

Aveva fatto di tutto per evitarla con la scusa che fosse per il suo bene, ma in realtà non era ancora riuscito a superare quella sorta di "tradimento" di cui Sanem si era macchiata pur sapendo che la sua era una reazione esagerata e irrazionale.

"Non so che fare, mamma..."

Camille gli si avvicinò e accarezzandolo teneramente su una guancia disse: "Impegnati seriamente con lei... Chiedile di sposarti..."

Can scosse il capo poco convinto: "Non credo che cambierebbe qualcosa..."

"Io invece penso di sì. Il fatto che per te il matrimonio non sia importante non significa che non lo sia per Sanem o la sua famiglia. Te lo ripeto: lei ha avuto il coraggio di sfidare molti preconcetti per te, è ora che tu faccia altrettanto. Dimostrale non solo a parole ma con dei fatti concreti che può contare su di te. Regalale la favola!"

"Dovrei presentarmi su un cavallo bianco e chiederle la mano?" scherzò Can, cercando in questo modo di alleggerire la conversazione.

Ma sua madre ripose seria: "Perché no! Ma prima, fossi in te, cercherei di chiarire la situazione con i suoi genitori... Le mancano Can e in questo momento averli vicino le sarebbe di grande conforto..."

Can guardò sua madre e pensò che anche con lei aveva sbagliato. L'aveva tenuta lontana per puro orgoglio ma lei non gliene aveva fatto una colpa. Con pazienza aveva aspettato e quando aveva avuto bisogno di lei, davvero bisogno, lei non si era negata perché questo è il compito di un genitore: lasciare liberi i propri figli, ma rimanere sempre "casa" per loro.

D'impulso l'abbracciò: "Grazie mamma, prometto di riflettere su tutto quello che mi hai detto"

"Non metterci troppo tempo,Can! Lasciati guidare dal cuore e dall'amore che nutri per lei. Loro ti faranno fare la cosa giusta, vedrai!"

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