Capitolo 36

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OGGI

Efe aveva compiuto tre anni e in casa Divit si era festeggiato con i nonni materni, ormai onnipresenti, Metin e Ayan e qualche amichetto conosciuto al parco.

Camille non era potuta venire, ma aveva mandato il suo regalo, che aveva fatto impazzire di gioia il piccolo, un po' meno Can e Sanem.

Si trattava della Tour Eifell composta da un centinaio di mattoncini di plastica che poteva essere montata e smontata o, meglio abbattuta, come aveva ampiamente dimostrato quel pomeriggio Efe.

Ormai se n'erano andati tutti, il bimbo dormiva beatamente e Sanem, dopo aver riordinato, si diresse nello studio, dove Can si era rinchiuso per concludere un lavoro urgente che si era portato a casa.

Bussò leggermente e si affacciò timidamente: "Ti disturbo?" chiese.

Can distolse lo sguardo dallo schermo del computer e lo puntò su di lei, aprendosi in un ampio sorriso: "Assolutamente... Tu non mi disturbi mai e, in ogni caso, sei una piacevole distrazione... Dai vieni!" la invitò.

Lei non se lo fece ripetere e corse a sedersi sulle sue gambe, cingendogli il collo con le braccia e lasciandogli un veloce bacio sulla guancia. Per lei quelle piccole manifestazioni d'amore erano naturali e a Can non dispiacevano affatto.

"Cosa stai facendo?" gli chiese interessata.

"Stavo riguardando alcune delle fotografie scattate in Congo... Sembrano passati secoli e ho quasi la sensazione che quello che è capitato laggiù non sia capitato a me ma ad un'altra persona..."

"Forse perché tu non sei più quella persona!"gli fece notare Sanem.

"Sono davvero cambiato così tanto?"

Lei ci pensò su un attimo e poi rispose: "In realtà non credo che tu sia cambiato, ma semplicemente hai tirato fuori il tuo vero io, la parte più nascosta di te!"

"E ti piace?"

"Io amo tutto di te Can, lo dovresti sapere... Ma ora basta con tutti questi complimenti o ti monterai la testa... Piuttosto fai rivedere anche a me quelle immagini!"

"Certo", disse Can prima di far scorrere nuovamente le foto sullo schermo.

Sanem ricordava che alcune di esse erano state esposte alla mostra di Parigi, ma altre non le aveva mai viste. Si trattava, per lo più, di bambini ed erano chiaramente state scattate a loro insaputa, perché non guardavano l'obiettivo e non assumevano pose artificiose. Molti di loro erano scalzi, vestiti di stracci o di indumenti troppo grandi per il loro esile corpo.

Sanem sentì un groppo salirle in gola, perché si rese conto che ognuno di quei bambini avrebbe potuto essere Efe e non c'era nessuna logica in quello che vedeva, nessuna giustizia. Semplicemente sfortuna!

Efe era stato fortunato, viveva in una bella casa, in una famiglia amorevole, un giorno avrebbe studiato e avrebbe potuto progettare il suo futuro, ma quei bambini cosa potevano aspettarsi dal domani se non soprusi, violenza, una vita di stenti al limite della sopravvivenza?

Guardò Can e dalla sua espressione comprese che stava pensando la stessa cosa. Gli prese la mano e gliela strinse forte: "So che è una follia, ma in questa casa c'è così tanto amore e là fuori ci sono tanti bambini che ne hanno bisogno..."

Lui la fissò intensamente: "Ne sei proprio sicura? Perché non sarà facile."

"Se è per questo ti ricordo che, con te, nulla è stato facile, ma sono certa che insieme ce la faremo anche questa volta, per cui, sì, sono sicura: adottiamo un bambino!"

Era da mesi che Can ci pensava, valutando i pro e i contro, alternando momenti di assoluta convinzione ad altri di profonda indecisione e lei, in pochi minuti, aveva messo da parte ogni dubbio, pronta a buttarsi a capofitto in una nuova avventura. Era, questo, un lato del suo carattere che Can aveva sempre ammirato: quella fiducia smisurata, quell'ottimismo innato che le faceva amare la vita sempre e comunque.

"D'accordo allora, ne parlerò con Metin e con mia madre, che conosce numerose associazione no profit dedite alla tutela dei bambini e vediamo come muoverci... Adesso, però, direi di festeggiare!"

"Ma se lo abbiamo fatto per tutto il pomeriggio!"protestò Sanem.

"Sì ma io alludevo ad un festeggiamento un po' più intimo, solo per noi..."

"E come faccio a dirti di no Can Divit!"

"Infatti non puoi..." la prese in giro lui, baciandola dolcemente.

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Camille apprese la notizia con entusiasmo ma non nascose che sarebbe stato un percorso lungo e difficile: "Dovrete vedere degli psicologi, che valuteranno il vostro essere coppia e le vostre capacità di genitori ed educatori. Inoltre dovrete recarvi più volte in Congo e anche soggiornarci per periodi più o meno lunghi..."

"Ne siamo consapevoli, mamma, ma vogliamo tentare. Quello che vorrei sapere è se tu, in qualche modo, puoi darci una mano..."

"Ma certo, farò tutto quello che è in mio potere!"

Più perplessi si dimostrarono i genitori di Sanem: "Ma perché andare a cercare un bambino in Congo? Anche qui in Turchia ci sono bambini abbandonati che hanno bisogno di una famiglia che li accolga."

"Perché Can ha un conto in sospeso laggiù...", rispose enigmatica Sanem

"Figliola non credi sia giunto il momento di dirci cosa gli è successo mentre era via? Perché ormai è chiaro come il sole che qualcosa deve essere accaduto..."

Sanem sospirò combattuta. Non aveva mai parlato della prigionia di Can, perché la considerava una cosa troppo intima e dolorosa e voleva rispettare la sua privacy, ma giunti a questo punto non aveva più senso tacere.

"Mentre era là, per il reportage, è stato fatto prigioniero e torturato... "

"Oh in nome di Allah!" esclamò sua madre portandosi una mano davanti alla bocca, mentre sua padre rimase a fissarla inebetito.

"Per questo desideriamo adottare un bambino congolese, per dare una mano concreta a quel territorio devastato dalla guerra e poi sarebbe una sorta di risarcimento per quello che è capitato a Can... La sua sofferenza, in un certo senso, verrebbe ricompensata!"

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