Capitolo 26

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OGGI

Sanem aveva conquistato Camille al primo sguardo.

La madre di Can aveva capito subito che dietro a quella bellezza acqua e sapone c'era molto di più.

C'erano sensibilità, maturità, dolcezza e fermezza, tutte doti necessarie per contrastare e contenere il temperamento del figlio e durante il suo breve soggiorno a Istanbul ne ebbe la conferma.

Dove lui era impulsivo lei era riflessiva, dove lui era impetuoso lei era calma, erano esattamente il completamento l'uno dell'altra. E il piccolo Efe era un esatto miscuglio dei due: un bambino adorabile.

"Ti devo ringraziare Sanem", disse un pomeriggio Camille mentre sorseggiavano un tè in giardino. Efe stava facendo il suo riposino pomeridiano e Can aveva fatto un salto allo studio fotografico.

"Mi deve ringraziare? E per cosa?"chiese stupita Sanem.

"Per quello che hai fatto con Can. Gli hai dato stabilità, quella stabilità che gli mancava e che lo faceva essere un'anima in pena, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, di nuove mete da conquistare che però non gli bastavano mai. So cosa ti ha fatto e penso che non molte donne si sarebbero comportate come te dandogli un'altra possibilità. Non voglio giustificarlo ma credo che la colpa del suo comportamento, in parte, sia anche mia e di suo padre."

"Non dica così", cercò di obiettare Sanem, ma Camille sembrava non ascoltarla perché continuò nel suo monologo, lo sguardo rivolto in basso a osservare la tazza di te che teneva tra le mani.

"Aziz e io ci siamo amati molto, ma ancor di più amavamo il nostro lavoro. Can non lo abbiamo cercato, ma è arrivato e, purtroppo, a un figlio non puoi dedicare i ritagli di tempo, ma devi dedicare tutto il tuo tempo. Né io né suo padre, però, volevamo rinunciare alla carriera e così Can è cresciuto sballottato tra la Francia e la Turchia, a volte ospite di amici, finché non è stato grande abbastanza per cavarsela da solo. Io ero orgogliosa di avere un figlio così indipendente, ma oggi ho capito che la sua indipendenza in realtà nascondeva fragilità, solitudine e sete d'amore. Nessuno mai si era occupato di lui, si era affidato a lui come hai fatto tu e questo lo ha terrorizzato. La detenzione in Congo gli ha aperto gli occhi e a me il cuore, facendomi capire che il mio successo più grande è stato proprio mettere al mondo lui. Dopo la liberazione, quando è venuto a Parigi per le cure, finalmente abbiamo avuto modo di parlare e di confrontarci e in lui ho scoperto un uomo nuovo. In un primo momento ho pensato che questo suo cambiamento fosse dovuto alla prigionia, ma poi ho compreso che c'era dell'altro: ti nominava spesso, durante il sonno invocava il tuo nome, così ho chiesto a Kevin che mi ha raccontato quello che sapeva. Ho provato a chiedere a Can chi tu fossi, ma lui rispondeva evasivo che eri solo un'amica e, allora, ho capito che ti amava ancora e ne ho avuto la conferma quando vi ho visti a Parigi alla mostra. Guardandovi mi è sembrato di tornare indietro nel tempo a quando io e Aziz ci siamo conosciuti: la stessa attrazione, lo stesso magnetismo e ho pregato Dio che le cose si sistemassero tra di voi e a quanto vedo le mie preghiere sono state ascoltate..."

Camille smise di parlare, posò la tazza di te e prese tra le sue la mano di Sanem: "amare non è facile e soprattutto non è mai scontato. E' un rincorrersi continuo, un rinnovarsi ogni giorno, richiede coraggio, sacrificio, forza per ammettere i propri errori, i propri limiti e per perdonare. Ma l'amore è anche l'unica ragione che ci fa desiderare di essere vivi. E' questo che ha riportato Can a casa ed è per questo che io non finirò mai di esserti grata. Tu ed Efe siete stati la sua salvezza e lo siete ogni giorno!"

Sanem aveva le lacrime agli occhi. Cosa poteva rispondere? Nulla perché ogni parola era vera, così si limitò ad abbracciarla, in un silenzio denso di significato.

Il giorno seguente Camille ripartì per Parigi. Era stata una visita breve ma sufficiente a far comprendere che lei, d'ora in avanti, ci sarebbe sempre stata per loro.

Can approfittò di quella serenità che si era venuta a creare per chiedere nuovamente a Sanem di trasferirsi lì da lui.

"Avevi detto di aspettare finché mia madre non fosse andata via e, come avevo previsto, non ci sono stati problemi con lei, quindi?"

"Ma non credi che sia troppo presto Can?"

"Presto per cosa Sanem? Abbiamo un figlio e siamo stati separati tre anni... In tutta onestà credo che dovremmo affrettare le cose non ritardarle ancora... Oppure c'è qualcosa di cui hai paura? Di cui non mi hai ancora parlato?"le chiese sospettoso.

"No, assolutamente no... E' tutto a posto", si precipitò a tranquillizzarlo Sanem "e tu hai ragione. Preparerò le mie cose e quelle di Efe e, se per te va bene, il prossimo fine settimana ci trasferiremo qui."

Un bellissimo sorriso comparve sul volto di Can che l'abbracciò felice. Avrebbe voluto parlarle anche di un altro desiderio che pian piano si stava facendo strada nel suo cuore ma preferì aspettare per non metterle troppa pressione.

In fondo per un secondo bambino c'era tempo!

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