DUE ANNI PRIMA
Erano passati sei mesi da quando Can e Kevin Ross erano partiti per la Repubblica Democratica del Congo. Tra loro era nata una profonda amicizia che sarebbe durata per tutta la vita, perché era uno di quei legami che nascono quando, insieme, si affrontano le avversità e ci si aggrappa l'uno all'altro per non cadere e farsi sopraffare dalla disperazione.
Kevin era l'esatto opposto di Can: rossiccio di capelli, statura media, piuttosto magrolino, dall'aspetto quasi malaticcio, ma di gran carattere e, soprattutto, di gran cuore.
Si erano piaciuti subito, fin dal loro primo incontro all'aeroporto di Kinshasa, dove ognuno era giunto per proprio conto.
Nella capitale avevano trascorso un paio di giorni, durante i quali si erano raccontati le rispettive vite.
Kevin aveva viaggiato molto, per lavoro e per puro piacere personale, viveva a New York e non aveva legami sentimentali. "Sono un vagabondo e questo mio errare non si concilia con l'amore che invece necessita della presenza", disse a Can.
"La pensavo anch'io come te, finché non ho incontrato un angelo che ha messo in discussione tutto ciò in cui credevo e che ritenevo importante."
"E allora che ci fai qui, in questa terra dimenticata dove dominano l'odio e la violenza?"gli chiese Kevin.
Can lo guardò e, forse per la prima volta, trovò il coraggio per ammettere anche con se stesso il proprio errore: "Ho avuto paura Kevin, ho avuto paura della profondità dei miei sentimenti per lei e l'ho allontanata per poi scappare qui..."
Nelle prime settimane tutto filò liscio, poi man mano che si spostavano verso l'interno, in territori più isolati, la situazione cominciò a peggiorare e fotografare e fare domande divenne sempre più pericoloso. Dovevano costantemente guardarsi le spalle e spesso barattare la propria sicurezza con soldi o generi di prima necessità di cui avevano fatto scorta.
Fortunatamente riuscirono a completare il loro reportage e a inviarlo alla rivista che li aveva ingaggiati. Ci avevano impiegato due mesi. Due mesi di duro lavoro, di privazioni, di paura, ma ne era valsa la pena.
Ora, finalmente, era giunto il momento di tornare a casa.
Quella sera, dopo aver preparato i bagagli, si coricarono subito, per partire l'indomani di prima mattina. Improvvisamente, nel cuore della notte, furono svegliati da forti rumori provenienti dall'esterno. Non fecero in tempo a capire cosa stesse succedendo, che un pugno di uomini col volto coperto da un fazzoletto e armati di fucili fecero irruzione nell'alloggio che occupavano. Gridando ordini che non compresero, li fecero inginocchiare, li incappucciarono e dopo aver legato loro le mani li trascinarono fuori facendoli salire su delle camionette militari, allontanandosi velocemente. Capirono immediatamente che erano stati rapiti da qualche banda locale per conto di gruppi di rivoltosi che avrebbero, poi, preteso un riscatto in cambio della loro liberazione.
Ma capirono, anche, che le loro vite erano appese a un filo.
Trascorsero i primi giorni in viaggio, separati, lungo piste a malapena tracciate, ma essendo sempre bendati non sapevano dire dove fossero diretti. Si fermavano al calar del sole quando si accampavano per la notte, sempre tenuti sotto tiro e minacciati dai rapitori. La cosa peggiore era non sapere quali fossero le loro intenzioni, perché tra loro parlavano un dialetto locale, incomprensibile, mentre con Can e Kevin mantenevano il più assoluto silenzio e tutte le domande che venivano rivolte loro, in inglese, rimanevano senza risposta.
Alla fine giunsero in un piccolo villaggio, dove vennero rinchiusi in una sorta di capanno costruito con materiali poveri: legno, fango, qualche mattone e arredato semplicemente con un paio di pagliericci per dormire. Furono tolte loro le bende dagli occhi , cosicché, finalmente, riuscirono a guardarsi e parlarsi .
Fecero fatica a riconoscersi. Sul volto dell'altro ognuno leggeva la propria sofferenza, come fosse uno specchio in cui si rifletteva la propria immagine, ma chi aveva avuto la peggio era decisamente Kevin.
Il viso smunto, sporco, ricoperto da una rada barba, metteva in risalto i suoi occhi che apparivano più grandi di quanto in realtà non fossero. Ciò che spaventò di più Can, però, non fu il suo aspetto, ma ciò che vide in quegli occhi: rassegnazione e capì che l'amico non avrebbe resistito a lungo.
"Dannazione Kevin, non puoi mollare, non puoi lasciarmi solo...tieni duro amico, vedrai che insieme ne usciremo", gli disse abbracciandolo forte. Stringendolo a sé si rese conto di quanto esile fosse diventato e la sua preoccupazione crebbe: quel corpo non aveva più né l'energia né la volontà di combattere.
Per la prima volta nella sua vita Can ebbe paura, paura di morire senza aver sistemato prima tutte le cose rimaste in sospeso, senza aver detto al suo angelo che l'amava, che i mesi trascorsi con lei erano stati i più felici e che la creatura che portava in grembo era, in assoluto, il regalo più bello che lei avesse potuto fargli.
Il bambino!
Quest'ultimo pensiero lo colpì come una folgorazione. Sarebbe diventato padre; forse, lo era già!
Uno forza nuova, una nuova determinazione si fecero strada in lui. Non si sarebbe lasciato andare, avrebbe lottato con tutto se stesso per tornare a casa.
Lentamente il tempo passò, ma stabilire se fossero settimane o mesi era impossibile, perché tutte le giornate erano uguali, poi, all'improvviso comparve un individuo mai visto prima.
Dalle mostrine che aveva appuntate sulla camicia, Can intuì dovesse appartenere all'esercito congolese o comunque a qualche gruppo militare. In un inglese elementare, ma corretto, si rivolse a loro dicendo: "Uno di voi è libero! Questa sera verrà lasciato sulla strada che porta alla capitale. Decidete voi chi!"
Can non esitò un attimo e disse: "Il mio amico è malato, liberate lui."
Kevin tentò di opporsi ma inutilmente. Quando si salutarono, entrambi avevano le lacrime agli occhi.
"Farò di tutto per tirarti fuori di qui", promise Kevin.
"Lo so", rispose Can "mi fido di te. Ora vai e prenditi cura di te. Ci vediamo presto!"

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Ricominciare da Noi
Любовные романыLe parole possono ferire più di un coltello dalla lama affilata e i silenzi possono costruire muri difficili da abbattere. Amare, allora, diventa difficile. Un atto di coraggio indispensabile per ricominciare da dove Can e Sanem si sono lasciati.