Capitolo 35

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OGGI

Sanem era ormai entrata nel quarto mese di gravidanza e i medici cominciavano ad essere "prudentemente" ottimisti.

Tutti i valori erano nella norma, ma non si poteva mai dire.

Can e Sanem erano sereni e si godevano ogni giornata, coscienti che tutto poteva, improvvisamente, cambiare. Avevano deciso di sposarsi dopo la nascita del bambino con una cerimonia senza troppi fronzoli e intima: i familiari e gli amici più cari; non avevano bisogno di altro.

Anche l'anello di fidanzamento, alla fine, era arrivato: una semplice fede con, all'interno, incisa una breve frase che esprimeva tutto quello che Can aveva nel cuore.

"Alla mia compagna di vita, con amore Can" perché questo era Sanem per lui. Ancor prima di essere amante e madre era la persona con la quale aveva scelto di condividere il pane, simbolo di nutrimento. ( compagno significa che mangia lo stesso pane ) Lei stessa era nutrimento per la sua anima, il suo corpo e la sua mente e, ormai, non avrebbe più potuto farne a meno.

Sanem, dal canto suo, si sentiva protetta e coccolata come non mai e questo le permise di superare quello che accadde poco dopo.

Per tutto il giorno era stata strana. Non che avvertisse dolore o che accusasse sintomi particolari, era più che altro una sensazione di disagio, che non sapeva definire e che l'aveva accompagnata fin dalla mattina quando si era alzata. Al momento di andare a dormire si confidò con Can: "Amore, non voglio spaventarti, ma credo sia meglio se mi porti in ospedale."

"Ti senti male?" le chiese allarmato

"No, ma preferirei fare un controllo... "

"D'accordo, chiamo subito i tuoi genitori perché si occupino di Efe e andiamo."

"Va bene! Io intanto mi preparo..."

Mise un cambio e alcuni effetti personali in un borsone e quando arrivarono i suoi genitori partirono.

Durante il tragitto non parlarono molto, si limitarono a tenersi per mano. Entrambi avevano capito che quel viaggio, che avevano intrapreso pieni di aspettative, era giunto al termine.

Sanem perse il bambino, ma, fortunatamente, l'intervento tempestivo dei medici evitò un epilogo ben più tragico.

Per quanto dolorosa, quella perdita non fu vissuta come una sconfitta. Quell'angelo mai nato, che in un primo momento aveva allontanato Can e Sanem, era poi stato l'artefice del loro ritrovarsi, del loro ricominciare e proprio per lui non potevano lasciarsi andare allo sconforto e al dolore. Quel bambino che non avrebbe mai avuto un volto, un'identità, per loro era stato comunque una realtà tangibile, che li aveva uniti come non mai e aveva dato loro la forza di superare la tragedia senza questa volta perdersi. Can non assaporò la gioia di diventare padre, eppure per quattro mesi lo era stato e continuava ad esserlo per Efe e questa consapevolezza lo riempiva di gioia e orgoglio.

Grazie al suo amore Sanem si ristabilì in fretta e la sua serenità sorprese tutti, in primis i dottori che l'avevano in cura e che avevano temuto in un crollo psicologico. Ma loro non capivano, non potevano capire che per lei sarebbe stato peggio il rimpianto di non aver tentato, piuttosto che il dispiacere di aver fallito. Una parte del suo cuore sarebbe sempre appartenuta a quella creatura che non avrebbe mai visto la luce, ma che attraverso lei avrebbe continuato a vivere e questa era la sua vera consolazione.

Il giorno in cui Can andò a prenderla in ospedale per riportarla a casa, la trovò seduta sul bordo del letto che , assorta, si rigirava al dito l'anello di fidanzamento.

"Ehi", le disse sedendole accanto " a cosa stai pensando?"

Lei alzò la testa a guardarlo: "Cosa faremo adesso?" gli chiese.

"Andremo avanti con i nostri progetti perché lui o lei vorrebbe così e ci sposeremo..."

E così fecero.

Un paio di mesi dopo si unirono in matrimonio alla presenza dei rispettivi familiari e di pochi amici tra i quali Ayan, Metin e Kevin venuto appositamente dagli Stati Uniti. Fu una cerimonia semplice, ma molto sentita e partecipata.

Ad un certo punto la madre di Sanem prese da parte Can per parlargli.

"Ti devo le mie scuse", disse.

"Per cosa?"

"Per averti giudicato male. Ti avevo considerato un donnaiolo senza scrupoli, che si era approfittato della mia bambina..."

"Beh in un certo senso è stato così. Con Sanem ho commesso tanti errori..."

"E' vero", gli concesse la signora Aydin " ma te ne sei reso conto e li hai ammessi, e questo non è da tutti. Con pazienza ti sei rimesso in gioco, le hai chiesto di perdonarti e le hai dimostrato di potersi fidare di te e questo è da pochi. E soprattutto hai dimostrato a me di poterti affidare mia figlia con l'assoluta certezze che la tratterai bene e la renderai felice. So bene che se questa volta non è crollata è grazie a te e alla tua presenza costante accanto a lei. Vi ho osservato molto in questo periodo e l'amore che c'è tra voi è merce rara, Can, fanne tesoro. Ti voglio bene figliolo", concluse abbracciandolo.

Quella confessione lo colse impreparato e non seppe replicare, così si limitò, commosso, a ricambiare l'abbraccio.

Più tardi mentre osservava quelle persone, che rappresentavano la sua famiglia, ridere e chiacchierare spensierate, si chiese cos'è che forma una famiglia.

Certo c'erano i legami di sangue, quelli che aveva con Efe e sua madre, ma c'era anche l'aver condiviso momenti importanti della sua vita. C'era Metin con il quale era cresciuto, Ayan con cui si era scontrato più volte ma che gli aveva aperto gli occhi su molte verità, Kevin con il quale aveva vissuto uno dei momenti più drammatici della sua esistenza e poi c'era lei, Sanem, che in punta di piedi, con dolcezza infinita ma anche tanta determinazione, si era insinuata nel suo cuore.

Amava quelle persone e le stimava profondamente, come i genitori di Sanem ai quali sperava di assomigliare nell'educazione dei figli.

Figli? Aveva usato il plurale... Un lieve sorriso increspò le sue labbra mentre, lentamente, un'idea folle si formò nella sua mente.

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