Capitolo 28

1.7K 162 19
                                        


OGGI

Can non aveva mai creduto nel matrimonio o, meglio, non aveva mai creduto che fosse necessario un atto giuridico/religioso per impegnarsi con la persona che si ama e per assumersi le proprie responsabilità verso quest'ultima.

Per lui, il matrimonio, non avrebbe aggiunto nulla a quello che provava per Sanem ed Efe e non garantiva, neppure, che quelle promesse che gli sposi si scambiavano il giorno delle nozze sarebbero durate tutta la vita: bastava guardare le innumerevoli cause di divorzio che venivano intentate ogni anno!

I suoi genitori non si erano mai sposati, eppure, a modo loro si erano amati, pur vivendo lontani, addirittura in Paesi diversi. Quando suo padre parlava di Camille gli si illuminavano gli occhi e lo stesso accadeva a sua madre, che gli era stata accanto negli ultimi mesi della malattia, rinunciando a tutti i impegni.

Allora, Can, non aveva capito, e aveva accusato Camille di essere arrivata tardi, cercando di riempire con i suoi sensi di colpa anni e anni di assenza.

Camille, da parte sua, non aveva cercato di giustificarsi in alcun modo perché, in fondo, una parte di verità in quelle accuse c'era.

Lei e Aziz si erano innamorati ciascuno dello spirito di libertà, del desiderio di verità e della grande curiosità dell'altro e non avrebbero mai chiesto di rinunciarvi perché, questo, avrebbe significato snaturare la persona, privarla della parte più bella della sua anima, ma aveva anche comportato il fatto di stare spesso lontani, di mancare alle feste, ai compleanni o ad altri avvenimenti importanti che avevano riguardato, soprattutto, ma non solo, la vita di Can e, questo, era stato imperdonabile.

Durante la prigionia e ancor prima, quando con i suoi scatti aveva ritratto il volto più nascosto della guerra, Can aveva capito che non c'è nulla di più bello e gratificante che avere qualcuno che ti aspetta a casa, qualcuno dal quale poter tornare e al quale poter donare, in totale fiducia, il proprio cuore, sicuro che se ne prenderà cura come fosse il suo.

Per questa ragione aveva proposto la convivenza a Sanem: per averla sempre accanto e per essere vicino a suo figlio, evitando, così di ripetere l'errore dei genitori.

Lei aveva accettato e questo aveva indotto Can a pensare che anche per lei il matrimonio fosse solo una formalità inutile.

Dopo il primo periodo di adattamento avevano trovato il loro equilibrio, erano felici, affiatati come non lo erano mai stati e, questo, spinse Can, una sera, a confidarle il suo desiderio più grande: avere un altro figlio da lei.

Avevano messo a dormire Efe e poi si erano seduti in terrazzo a chiacchierare un po', scambiandosi tenerezze com'era divenuta loro abitudine.

Sanem era accoccolata al suo petto, mentre lui le accarezzava i capelli.

"C'è una cosa di cui vorrei parlarti...", le disse

"Se è una cosa bella, ti ascolto, altrimenti rimandiamo a domattina, ti prego...non roviniamo questo momento!"lo supplicò lei.

"Beh secondo me è una cosa bella, molto, molto bella..."

"Mmm, mi hai incuriosito... Dimmi!"

"Perché non diamo un fratellino o una sorellina a Efe? Io credo sia il momento giusto e credo che lui ne sarebbe contento..."

Sanem, per un attimo smise di respirare. L'aveva colta di sorpresa: non aveva mai accennato, neppure lontanamente al fatto di voler avere altri bambini.

Il panico si impossessò di lei: e adesso che cosa doveva dirgli? Mentirgli ancora o dirgli la verità? E se lui l'avesse lasciata?

"Sanem, ehi, ci sei?"chiese Can sorpreso dal fatto che lei non avesse detto nulla.

"Sì, sì, tranquillo... E' solo che mi hai preso alla sprovvista. Io non pensavo che... Insomma non hai mai manifestato il desiderio di avere altri figli..."

"Hai ragione, ma volevo aspettare che tra di noi le cose si sistemassero e che tu venissi a vivere qui, con me... Allora cosa ne pensi?"

Lei su scostò leggermente da lui, quel tanto che bastava per guardarlo in viso e quello che lesse nel suo sguardo le arrivò dritto al cuore. Cercò di prendere tempo: "Can,io..." Ma lui le posò un dito sulle labbra e la zittì.

"Ascolta, capisco che tu abbia paura, ma questa volta giuro che sarà diverso. Ti starò sempre vicino, sarò con te a tutte le visite, vivrò la gravidanza insieme a te, non ti lascerò sola un solo istante... Non rispondermi adesso, prenditi il tuo tempo, riflettici su e quando ti sentirai pronta mi troverai qui ad aspettarti...d'accordo?"

Come poteva deluderlo? Semplicemente non poteva, così, suo malgrado rispose: "Non ho bisogno di tempo per pensarci Can, perché è quello che desidero anch'io con tutta me stessa!"

Non sarebbe mai riuscita a dirgli la verità, non dopo quello che aveva visto nei suoi occhi: un grido, una supplica d'amore, di riscatto da tutto il male che le aveva fatto in passato.

In fondo, si disse Sanem, i medici le avevano sconsigliato, non proibito, altre gravidanze e le avevano detto che c'erano alte probabilità di perdere il bambino, ma una speranza c'era e lei si aggrappò a quella speranza con tutte le sue forze.

Ricominciare da NoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora