Capitolo 12

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OGGI

"Forse sono stata troppo dura con lui Ayan... Avresti dovuto vedere il suo sguardo quando gli ho detto che ormai è troppo tardi per noi due..."

Sanem dopo la discussione con Can era rientrata in casa, dove aveva trovato Ayan ad attenderla.

Aveva raccontato ogni cosa all'amica e quest'ultima l'aveva tranquillizzata, dicendole che aveva fatto bene a dirgli quelle cose.

"Ricordati che è sparito per tre anni Sanem!"

"Lo so, ma lui sostiene che avrebbe voluto tornare da me e chiedermi perdono, ma che non ha potuto..."

"E tu gli credi?"

"Non lo so...anche se mi è sembrato sincero... E poi te l'ho detto, è così cambiato..."

"Sì, in effetti", confermò l'amica "sembra molto più selvaggio con i capelli e la barba così lunghi."

"Non mi riferivo al suo aspetto Ayan... Ha qualcosa di diverso...è più taciturno, più pacato, non sorride quasi mai se non a Efe. Ogni tanto sembra che si assenti, il suo corpo è qui ma la sua mente è altrove... Mi chiedo cosa lo abbia tenuto lontano così tanto tempo."

"Il suo ego, Sanem, solo quello!"

"No, non credo. Secondo me c'è dell'altro...e forse Metin può aiutarmi a scoprire la verità"

"Ma perché vuoi continuare a farti del male?"

Sanem guardò Ayan. Era inutile continuare a mentire, soprattutto a se stessa.

"Perché non sono mai riuscita a dimenticarlo del tutto. Per quanto ci abbia provato lui è rimasto dentro di me, nel mio cuore, nella mia anima e nella mia mente. Ho provato a frequentare altri uomini...anche questa sera. Engin mi ha riportata a casa, dopo che abbiamo cenato insieme e sulla porta ha provato a baciarmi, ma io non ci riesco Ayan, non riesco a lasciarmi andare, non provo nulla, assolutamente nulla, mentre quando Can mi guarda, o si avvicina a me, mi sento tremare, non capisco più niente e vorrei solo che mi abbracciasse..."

Ayan ascoltò la confessione dell'amica, anche se, in realtà, non rimase sorpresa. La conosceva da anni e sapeva che era tutto, tranne una persona superficiale e questo la rendeva speciale. Il sentimento che aveva nutrito per Can, e che ancora provava per lui, era radicato in lei. In quegli anni si era sopito, ma non si era mai spento, proprio come la brace che riprende ad ardere e originare fiamme se alimentata con nuova legna.

"D'accordo", le disse "ma promettimi di stare attenta e se dovesse ferirti ancora questa volta se la vedrà con me!"


Seduto nella sua macchina Can guidava per le strade d'Istanbul senza una meta precisa finché giunse al porto. Qui parcheggiò e scese, dirigendosi verso la banchina. Gli era sempre piaciuto osservare il mare e la linea lontana dell'orizzonte. Gli davano un senso di pace, di libertà e di infinito e ora ne aveva bisogno per riordinare le idee.

Sanem voleva ricostruirsi una vita senza di lui, questo aveva detto e questo doveva accettare.

Per quanto sapesse che aveva ragione e che la colpa, in fondo era solo sua, faceva male, tanto male.

Negli ultimi due anni e mezzo era stata lei e la speranza di poter tornare insieme a dargli la forza di andare avanti, ma adesso? Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe fatto a superare un giorno dopo l'altro? Certo c'era il bambino, suo figlio, ma per quanto tempo avrebbe potuto imporre la sua presenza? Efe si sarebbe sicuramente affezionato al nuovo compagno di Sanem e lui? A lui sarebbero rimaste solo briciole d'amore, proprio quello che si meritava!

Si sedette su una panchina e aspettò l'alba, ormai prossima, quando il sole con i suoi primi raggi tinge il giorno di nuovi colori e gli dona nuova luce e speranza, poi risalì in auto e si diresse verso casa.

Si sentiva stanco, tanto... Avrebbe voluto chiudere gli occhi e lasciarsi andare, smettere di pensare, di ricordare, di lottare, di soffrire. Avrebbe voluto essere una foglia, che, leggera, viene sospinta dal vento e, nell'aria, disegna turbinosi giri di una danza sconosciuta fino a posarsi a terra in attesa di un nuovo vortice che la risucchi e la spinga lontano.

In quello stesso istante altri occhi osservavano il nascere del nuovo giorno. Erano gli occhi di Sanem. Nemmeno lei era riuscita a dormire. Continuava a sentire le parole di Can: "Avrei voluto tornare da te Sanem, chiederti di perdonarmi, di darmi una seconda possibilità, ma non ho potuto..."e più ci pensava più si convinceva che qualcosa di grave doveva essere accaduto. Quel Can non era lo stesso di tre anni prima, ora ne aveva la certezza!

Controllò l'ora: le 7.30 del mattino. Era presto, sì, ma lei non poteva più aspettare. Prese il telefono e chiamò Metin. Dopo alcuni squilli una voce assonnata rispose: "Pronto!"

"Ciao Metin, sono Sanem. So che è ancora presto ma ho urgenza di parlarti. Posso passare da te prima che tu vada in ufficio?"

Metin si passò una mano sul viso con la brutta sensazione che fosse giunta la resa dei conti: "Va bene, ti aspetto", rispose.

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