capitolo quattordici

504 48 124
                                    

Non avrebbe saputo dire come e quando aveva capito di provare qualcosa per Jean.

Non aveva mai pensato all'amore a dir la verità.

Nel mondo in cui vivevano non c'era spazio per quello, quando sai di poter morire in qualsiasi momento la sola idea di legarsi così indissolubilmente a qualcuno è terrificante.

E poi, da dove veniva lei, l'amore era un concetto molto astratto.

Sua madre, Rea Foster, era una prostituta di uno dei bordelli della Città Sotterranea, aveva avuto tre figli da tre uomini diversi e non ne aveva amato nemmeno uno.

Jeri Foster non aveva conosciuto l'affetto di una madre, tantomeno quello di un padre, l'unica persona che si potesse dire in qualche modo interessata a lei ed al suo benessere era suo fratello maggiore Aslan, che però ben presto l'aveva abbandonata.

Dopo la morte di Rea, sola, con il peso sulla coscienza di aver lasciato a sua volta Junko a marcire nel Sottosuolo, si era dovuta costruire una nuova vita nel centoquattresimo Corpo di Addestramento Reclute.

E lì era successo che aveva incontrato Jean Kirschtein.

Non avrebbe saputo indicare con precisione il momento esatto in cui aveva capito di desiderare quel ragazzo più di ogni altra cosa al mondo, ma ricordava bene quando la consapevolezza di essersi innamorata l'aveva investita come una secchiata d'acqua gelida, cogliendola di sorpresa nonostante quell'ipotesi si fosse già fatta timidamente spazio tra i suoi pensieri.

Era una serata particolarmente fredda, poco dopo l'attacco di Trost, la pioggia cadeva incessante rendendo quasi impossibile distinguere i contorni del paesaggio circostante l'accampamento.

Le reclute mangiavano in silenzio nella mensa, portavano il cibo alla bocca rivedendo quelle immagini tanto spaventose sotto le palpebre ogni volta che chiudevano gli occhi.

Jeri si stava sentendo troppo male, ed aveva deciso di uscire in veranda per prendere una boccata d'aria e calmare il forte senso di nausea che la perseguitava.

Al riparo dalle intemperie, sotto la tettoia, guardava la pioggia cadere tenace giù dal cielo, con violenza, quasi come se volesse cancellare tutto il dolore ed il sangue.

Quella sera Jean era uscito in veranda, le aveva coperto le spalle con il suo maglione e le aveva messo tra le mani una tazza di acqua calda e limone.

«Per la nausea» aveva detto. Jeri si era voltata per ringraziarlo, guardandolo in viso, e fu in quel momento che capì.

La sensazione era simile a quella che aveva provato quando aveva utilizzato per la prima volta il dispositivo di manovra tridimensionale, un salto nel vuoto, solo che ora si trovava nel bel mezzo di una piana e non aveva niente a cui aggrapparsi.

Poteva solo precipitare attendendo inerme l'impatto col suolo.

Il cuore prese a batterle velocemente, tant'è che se lo sentiva in gola, la bocca divenne improvvisamente asciutta e le mani tremarono un po'.

Guardava negli occhi castani di Jean e si chiese cosa poteva trovarci in lui di così attraente, cosa le facesse venire il vuoto allo stomaco.

Lui era alto, non si poteva dire fosse un bel ragazzo, con i suoi lineamenti sgraziati e un po' allungati, ma aveva bei capelli color biondo rame, che sembravano sottili e setosi ─ oh! Se solo avesse potuto constatare con mano la loro consistenza ─ ed i suoi occhi, di una sfumatura ambrata tendente all'oro, avevano un bel taglio obliquo simile al suo.

Ma più che nei tratti del suo viso, che non erano particolarmente piacenti, era stata la sua voce, troppo calda e profonda per essere quella di un quindicenne, tendenzialmente pacata ed avvolgente, a farle tremare le gambe.

𝐒𝐀𝐋𝐕𝐀𝐓𝐈𝐎𝐍, jean kirschtein Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora