prologo

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Il primo ricordo che possedeva di sua madre risaliva a quando aveva un anno e mezzo.

Non era sicura fosse possibile poter registrare un ricordo in età così tenera, i bambini piccoli non si rendono davvero conto di cosa accade nel mondo circostante.

Razionalmente si era convinta del fatto che quella scena non fosse un vero ricordo, ma un'immagine costruita a posteriori dalla sua coscienza, vai a capirne il motivo.

Tuttavia sentiva dentro di sé di aver visto veramente quella scena, all'età di un anno e mezzo, e di averla registrata sotto le palpebre, limitandosi a conservarla, senza comprenderla.

Nel ricordo sua madre abbassava le spalline del vestito color crema che indossava e offriva i capezzoli da succhiare ad un uomo che non era suo padre.

Nella stanza aleggiava un lieve odore di latte materno, quella era forse la componente più attendibile del ricordo.

Nei bambini molto piccoli l'olfatto é il senso più sviluppato, oltre che quello più legato alla memoria.

Gli odori hanno una valenza evocativa molto sottovalutata.

«Junko, ti devo dire una cosa» in fondo alla stanza, mentre sua madre gettava la testa all'indietro e l'uomo che non era suo padre premeva la lingua sui suoi capezzoli turgidi, una ragazzina, che doveva avere dieci anni o giù di lì, stava appoggiata alla porta con le mani dietro la schiena.

Una bambina dalla chioma del colore dell'oro alzò lo sguardo su di lei, non poteva vederla in viso, ma sapeva perfettamente di chi si trattava.

Era Junko, la sua sorellina.

Un gemito ruppe il silenzio che si era creato dopo la frase pronunciata dalla ragazza appoggiata alla porta, ma né sua madre, né le due bambine sembravano turbate dalla presenza l'una delle altre.

Come se quelle due scene si stessero svolgendo nello stesso luogo, ma in due tempi diversi che, per qualche motivo, coesistevano.

La bambina di un anno e mezzo nella culla, che guardava sua madre abbassare le spalline del vestito e rivelare il seno bianco, era la stessa che se ne stava appoggiata alla porta.

Stesso luogo, tempo diverso.

«Dimmi» parlò Junko, alzando lo sguardo dalla spilla con cui stava giocando, era della mamma.

«Rea é morta» disse freddamente la sorella maggiore.

Aveva chiamato la loro madre "Rea", con il suo nome, come se non fosse lei, come se stesse parlando di una persona che conoscevano, ma non benissimo.

Junko non disse nulla, abbassò lo sguardo sulla spilla di Rea e si mise in piedi.

«Questo vuol dire che adesso posso tenerla» osservò, guardando l'oggetto, non era un gioiello prezioso, ma era senza dubbio molto bello.

«Suppongo di sì» rispose.

Junko si avvicinò alla sorella, le prese la mano e posò la spilla sul palmo aperto.

«Credo che tu debba andare» disse.

La sorella maggiore la guardò stranita, sentendo il peso della spilla nella mano.

«Andare? E dove?» «Via da qui. Adesso che la mamma é morta, sceglieranno te»

Sceglieranno te, non avrebbe mentito, quell'ipotesi si era già timidamente fatta strada nella sua mente, ma sentirla pronunciare da Junko era tutta un'altra storia.

«E come faccio? Come me ne vado?» chiese, aggrottò le sopracciglia, strinse la spilla nella mano, pungendosi la carne, aveva bisogno di aiuto, di Junko.

«Un modo lo troverai» sorrise la sorellina.

Jeri Foster aveva i capelli di un biondo freddo, occhi verde giada dal taglio obliquo e lineamenti armoniosi.

Era innegabilmente bella.

Rea Foster, poco più in là, con le spalline del vestito abbassate, era identica a quella ragazzina di dieci anni, solo leggermente più adulta.

Jeri stessa guardava la scena da fuori, come se non vi avesse nulla a che fare.

Jeri a un anno e mezzo nella culla, sua madre, l'uomo che non era suo padre, Jeri a dieci anni appoggiata alla porta che comunica alla sorellina la morte precoce del genitore, Junko seduta sul pavimento con la spilla in mano.

Un modo lo troverai, un modo per lasciare la Città Sotterranea, un modo per vedere le stelle.

Si svegliò quando fuori ancora era buio, nei dormitori del centoquattresimo Corpo di Addestramento Reclute le sue compagne riposavano sfinite.

Si girò su un fianco e chiuse di nuovo gli occhi, concedendosi qualche altra ora di sonno prima della colazione.

Chissà perché aveva fatto quel sogno, chissà perché il suo cervello aveva mescolato quelle due immagini che stanziavano nel cassetto dei ricordi.

Chissà perché le era venuta in mente la stanza di sua madre, laggiù, nel Sottosuolo, dove aveva trascorso la maggior parte della sua infanzia, dove l'aveva vista abbassarsi le spalline del vestito ed offrire i capezzoli da succhiare ad un uomo che non era suo padre.

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AUTHOR'S NOTE,
io detesto cominciare le storie, chi mi conosce ben lo sa, perché non so mai come farle partire in modo interessante. Se siete belle personcine che leggono Murakami allora saprete che il sogno di Jeri Foster é semi-plagiato dal "ricordo" di Tengo in 1Q84 perché sto leggendo questo libro e mi ha conquistata quindi volevo integrare un po' del vecchio Murakami in questa storia consacrata al mio protetto Jean. Vi confesso che ho il terrore di come possa evolversi questa fanfiction, vi dico che grossolanamente seguirà la trama di Attack on Titan, anche se l'incursione di un nuovo personaggio causerà, ovviamente, alcune modifiche. Ho paura di rendere Jeri un personaggio falso e poco realistico, perché non voglio che sia una principessa indifesa da salvare o una codarda, anzi, é proprio davanti ai giganti che diventa una bestia, inoltre voglio che il rapporto tra lei, Mikasa ed Annie (che amo alla follia) sia... speciale. Ma non dico altro. Vabbè meglio che la finisco qui se no faccio spoiler

Adelaide xx

𝐒𝐀𝐋𝐕𝐀𝐓𝐈𝐎𝐍, jean kirschtein Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora