capitolo trentotto

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Quattro anni dopo

Se ti guardi negli occhi cosa vedi? La consistenza della ceramica fredda del bordo del lavandino sembrava irreale sotto i suoi palmi che, inavvertitamente, l'avevano racchiusa in una stretta violenta.

Il freddo pungente le aveva fatto venire la pelle d'oca, ma, nonostante percepisse appieno la sensazione di gelo che le stava lasciando addosso, non si mosse dalla sua posizione.

Nuda, leggermente china sul lavabo, si fissava dritta in volto nel riflesso dello specchio rettangolare.

Aveva preso quell'abitudine già tre anni addietro e adesso quotidianamente si spogliava di tutti i vestiti e si posizionava davanti allo specchio, scrutandosi nei minimi particolari.

Non le restava che togliersi la pelle e prendere in esame tutti gli organi e tutte le ossa.

Teneva sott'occhio ogni mutamento, anche se impercettibile, era l'unica cosa che riusciva a rassicurarla quando il timore di incontrare di sfuggita il suo volto riflesso da qualche parte e non riconoscerlo più diventava reale e si addensava in un angolo remoto della sua coscienza.

Com'era naturale che fosse, il suo aspetto esteriore era cambiato, il viso aveva perso le rotondità della fanciullezza, rivelando i suoi zigomi alti e la mascella definita, conferendole un'aria regale ed autoritaria.

Eppure non aveva perso solo le ultime tracce dell'infanzia, quegli aspetti ancora acerbi del suo corpo che le ricordavano che un tempo anche lei era stata bambina, ma molto di più.

Aveva perso il sonno, la fame, speranze, princìpi, compagni e pezzi di sé, giorno dopo giorno andava in frantumi, ma non poteva far altro che avanzare.

Stava lottando per quella tanto agognata libertà, ma il prezzo da pagare era alto, molto alto, forse troppo.

La sua intera vita era stata una lotta continua, il suo era stato un parto difficile, sanguinoso e violento, aveva lottato contro la cervice crudele di sua madre Rea e la vita aveva vinto la morte, era venuta alla luce strillando e piangendo, scagliando piccoli pugni e dimenando le gambette corte e poi si era acquietata.

Quella sua venuta al mondo così sofferta era entrata subito in netto contrasto con i suoi modi scostanti e freddi.

Non le interessava poi tanto vivere, ma ne aveva fatto una questione di principio, lei doveva nascere e doveva continuare a combattere.

Aveva lottato per sottrarsi alle ostilità della Città Sotterranea, aveva lottato per diventare un soldato, contro i giganti, contro i compagni, contro sua sorella, contro se stessa.

E ancora oggi la sua umanità continuava a scalpitare, urlare, aggrapparsi con le unghie e con i denti per non scivolarle via dal corpo, per non trasformarla in quel demone di cui il mondo parlava.

E lei non lo sarebbe diventato, quel demone, lei avrebbe mantenuto la sua integrità e la sua umanità, tutto quello che avrebbe fatto, l'avrebbe fatto nella piena consapevolezza e se ne sarebbe assunta tutte le responsabilità, avrebbe pagato il prezzo delle sue azioni ed avrebbe espiato tutte le sue colpe.

Quando aveva iniziato a comprendere chi fosse il nemico si era fatta quella promessa, non sarebbe fuggita, mai, dinanzi alle conseguenze, a costo di affrontare anche l'eventualità di un castigo divino.

𝐒𝐀𝐋𝐕𝐀𝐓𝐈𝐎𝐍, jean kirschtein Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora