capitolo quarantanove

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«Facciamo due passi» così aveva esordito Jean quando Jeri e Mikasa avevano finito di chiedersi scusa a vicenda.

Foster si era messa in piedi e si era addentrata insieme a Kirschtein nel bosco.

«Jean, senti io─» «Zitta!» esclamò il ragazzo, che le camminava davanti, volgendole la schiena.

«Sta' zitta Jeri, o questa é la volta buona che alzo le mani su una donna. Oggi parlo io» minacciò, fermandosi di colpo.

La bionda ammutolì ed abbassò il capo, odiava essere così accondiscendente, ma non poteva biasimare Jean, se fosse stata nei suoi panni un ceffone se lo sarebbe tirato da sola.

«Voglio sapere che cazzo ti é saltato in mente quando hai accettato di ereditare il gigante di Eren» disse, era calmo, ma si vedeva che aveva riflettuto a lungo sulle parole da usare, a discapito della sua natura, la quale lo spingeva a dire sempre tutto quello che pensava, senza filtri.

«Era un ordine, impartito dal Comandante Hange, un mio superiore. Anche volendo, non mi sarei potuta opporre» «Risposta sbagliata»

«Risposta... sbagliata?» «Potevi tranquillamente opporti. Conosco Hange, cosa credi? Pensi davvero che mi beva questa puttanata? Il Comandante non ti avrebbe mai obbligata a fare una cosa del genere. C'è la tua vita in ballo, cazzo!»

Fece una pausa, si passò le mani sul volto e tra i capelli, i ciuffi biondo rame gli ricadevano sulla fronte ed incorniciavano le occhiaie peste che aveva sotto gli occhi felini.

«Pensavi forse che così facendo saresti stata un'eroina? Avresti ereditato l'immenso potere del Fondatore, dopo averlo sottratto all'usurpatore Eren Jaeger, ed avresti salvato il mondo all'interno delle Mura? Stupida impertinente. Sei solo un egocentrico pezzo di merda, lo sai?»

«Non m'importa» rispose fermamente Jeri, la voce le tremava un po' ma lo ignorò «Chiamami impertinente e pezzo di merda, hai ragione, lo sono davvero. Sono un impertinente pezzo di merda. Sono anche tremendamente egocentrica ed esibizionista, sai? Volubile fino alla nausea e perennemente indecisa. Non ho sogni né aspettative, non c'è niente che mi vada a genio e trovo tutto insulso e noioso. Ma tu lo sai, Jean, lo sai da sempre, da quando ci siamo conosciuti, e mi sei rimasto accanto lo stesso. Se vuoi credere che volessi ereditare il Fondatore per essere lodata, fallo pure, ma la verità é che sono ─ ero ─  l'unica in grado di farlo e soprattutto perché voglio che voi viviate a lungo»

«Grazie, cara Jeri, se vuoi tanto ucciderti allora tieni» parlò il ragazzo con ironia, estrasse dalla cintola un pugnale e glielo puntò contro «Tagliati pure la gola, maledizione!»

«Jean, ma che ti prende?» fece la bionda, togliendogli il pugnale di mano, lui non oppose resistenza e lasciò ricadere il braccio lungo il fianco.

«Io non posso permettere che tu muoia in questo modo, Foster. Lo capisci? Cazzo, lo capisci che tengo a te più di chiunque altro? Ho perso troppo in questi anni, quando é morta Ine, io...»

Il ricordo di Ine gli fece morire le parole in gola, era il suo secondo quando era diventato Caposquadra, una ragazza dolcissima del centotreesimo Corpo di Addestramento, con i capelli corvini e gli occhi nocciola, a causa di un suo errore, Ine era morta e Jean non se l'era mai perdonato.

Jeri ricordava bene le notti, subito dopo l'incidente, in cui Jean stava in piedi fino all'alba a piangere in silenzio dinanzi alla finestra.

«Io ho giurato che con te non avrei mai commesso errori, che non saresti morta fino a che ci fossi stato io a proteggerti. Ma questa volta, anzi, ancora una volta, non ne sono stato in grado. E se non ti fossi tradita, gridando le tue intenzioni, saresti perfettamente riuscita a prendermi per il culo e magari anche a tenermelo nascosto. Quando avevi intenzione di dirmelo, eh, Jeri? Quando? Magari dopo il matrimonio?»

𝐒𝐀𝐋𝐕𝐀𝐓𝐈𝐎𝐍, jean kirschtein Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora