capitolo trentuno.

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«Sophie» sento urlare alle mie spalle. Fermo i miei passi, voltandomi verso il punto da cui proviene il suono. Mio padre si avvicina a me a passo svelto, con una mano in tasca ai suoi pantaloni grigi e nell'altra dei fogli.

«Seguimi» dice una volta vicino a me e con la stessa velocità con la quale mi ha raggiunto, arriviamo nel suo studio.

«Perché stai correndo?» domando una volta nell'ufficio, mentre lui appoggia i fogli sulla scrivania e si siede sulla sua poltrona.

«Non sto correndo» risponde, buttando poi fuori un sospiro rumoroso «Ora che Thomas» il mio cuore rallenta i battiti all'udire il suo nome «Starà via per un po', dovrai prendere in mano alcuni dei suoi doveri, come Jennifer, i conti, l'organizzazione dei suoi appuntamenti così da farli combaciare con i tuoi» si ferma un attimo «Sarai affiancata da Simone».

«Riesco anche da sola papà» rispondo alzando gli occhi al cielo. «Lo so, ma preferisco così» risponde lui, senza guardarmi negli occhi.

«Gli dono volentieri Jennifer, io potrei soffocarla, non sopportando nemmeno il fatto che respiri» dico incattivita, pensando a come si sia comportata.

«Non è un oggetto Sophie» risponde infastidito, rimproverandomi «E poi sono passati mesi.Sei abbastanza adulta da poter capire il contesto in cui ti trovi».

«Non vedo perché dovrei capirlo solo io» commento a bassa voce«E smettila di difenderla sempre, sono io tua figlia».

«Lo so benissimo Sophie» mi guarda infastidito «Ma so anche comportarmi in un contesto lavorativo e qui dentro per me, siete tutti uguali, anche tu» dice con tono autoritario «Adesso vai, Simone ti sta aspettando» mi congeda velocemente, smanettando sulla tastiera del computer. Mi alzo e prima di chiudere la sua porta, mi ferma dicendo:«Ah Sophie, questa sera abbiamo una cena di lavoro. Non prendere impegni».

Chiudo la porta dando le spalle a mio padre, per dirigermi nel mio ufficio. Cerco di non pensare al fatto che due stanze dopo il mio, si trova l'ufficio di Thomas, vuoto dopo quasi un anno abituata a trovare all'interno, quel dannato faccino che possiede.

Trovo Simone in piedi accanto alla scrivania, con in mano la cornice che contiene una mia foto.

«Ti piace?» domando entrando, chiudendo la porta. Lui alza di scatto la testa verso di me, per poi posare la cornice.

«Si, è bellissima» risponde lui, abbassando lo sguardo sulla foto.

«Ero a Zamora» dico buttando sul divano la mia borsa «Lago di Sanabria, Spagna. Meraviglioso».

«Ci credo» risponde alzando le
sopracciglia «Dalle foto di Google sembra un posto paradisiaco».

«E lo è» annuisco, ricordando quella giornata in famiglia. «Papà mi ha detto che prenderemo i doveri di Thomas» dico avvicinandomi alla mia sedia «Sei pronto?».

«Sono felice perché lo faremo insieme» risponde lui sorridendo, mentre io abbasso lo sguardo imbarazzata.

«Già» sussurro sedendomi.

«Oh» esclama rovistando nella sua giacca «Ti ho portato questa» lascia una bustina bianca sulla scrivania.

Corrugo le sopracciglia e lui continua. «È una ciambella». Sorrido, aprendo il sacchetto. «Grazie».

«Tu come stai?» chiede poi sedendosi davanti a me «Insomma ora che lui è partito...».

«Sto bene» lo blocco «Lui è a Londra, io a New York e va bene così ad entrambi» mento e forse male a giudicare dall'occhiata che mi riserva.

MR.BROWNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora