Capitolo 8

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Quella domenica decisi di prendermi uno sfizio e andare in un ristorante a mangiare, alla fine avevo trovato un lavoro e non dovevo più lesinare sul cibo.

Ordinai della cacciagione e una spremuta d'arancia e iniziai a mangiare non rendendomi conto che uno dei miei fratelli era seduto a pochi tavoli dal mio e mi stava osservando.

Non sapendo che fosse anche lui, qui mangiai il mio pasto senza preoccuparmi di nulla, alla fine del pasto il cameriere mi portò il conto e pagai, mentre uscivo intravidi Richard che mi osservava ma non venne da me, né io lo salutai.

Una parte di me era sollevata di non doverlo affrontare e un'altra ferita perché non era venuto a salutarmi o chiedermi come stavo.

Tornai a casa avvilita, questa era la mia vita ora, eppure il fatto di non essere amata dalla mia famiglia mi feriva ancora.

Lunedì arrivai al lavoro con quindici minuti di anticipo, seguii le istruzioni del padrone, il mastro armaiolo Andy Dixon, ed entrai dal retro.

Alcuni apprendisti mi videro e cercarono di cacciarmi via, in quel momento arrivò il padrone e mi tirò fuori d'impaccio presentandomi agli altri.

«Ho già controllato gli ordini, tra sei mesi ci sarà il torneo indetto dalla regina madre e tutti vogliono armature e armi nuove da sfoggiare, prendete gli ordini e datevi da fare.»

Io fui l'ultima a consultare il tomo e rimanevano solo i grossi ordini, chi chiedeva venti spade, chi trenta armature e cose così. Presi un ordine tra i tanti e andai in fucina a prendere il metallo raffinato che avevo lasciato nella mia postazione.

Ma il metallo non c'era più, poi vidi che gli apprendisti lo avevano preso senza chiedere, visto che non lo avevo pagato non potevo rivendicarlo come mio, ma mi scocciava parecchio che lo avessero preso senza chiedere.

Andai a prendere il minerale di ferro e iniziai a lavorarlo e a liberarlo dalle scorie, ottenni quindici lingotti che posizionai sul mio banco lavoro.

Mentre mi apprestavo ad iniziare a lavorare uno dei lingotti, un apprendista venne prenderne uno.

«Che cosa stai facendo?» Chiesi arrabbiata.

«Che vuoi? Non è mica roba tua?»

«Lì ho fatti io, mi servono per il mio lavoro, io vengo a rubare il tuo metallo?»

«Se non vuoi che gli altri li usano perché li hai messi qui?»

«Sei stupido? Questa è la mia postazione, io lavoro qui.»

«Cosa? Chi ti ha detto che questa è una postazione? Non c'è né crogiolo né forgia.»

«Non ne ho bisogno perché uso la magia, vi siete già presi tutti i lingotti che ho preparto domenica, ora posa quello o andrò a fare rapporto al padrone.»

«Ehi! Non ti arrabbiare, non lo sapevamo mica!»

«Ma non avete nemmeno chiesto, avete fatto sparire tutti i lingotti e poi quando sono ricomparsi siete venuti a riprenderli, non spuntano dal nulla come i funghi, ci ho lavorato due ore e non per regalarli a voi apprendisti.»

«Va bene, va bene ho capito.» Mi rispose scocciato, facendomi arrabbiare ancora di più.

Il fatto che avessimo parlato a voce alta fece capire anche agli altri che dovevano stare con le mani a posto e non prendere le cose altrui, nonostante il martellio del ferro la mia voce arrivò chiara a tutti.

Ora che avevo i lingotti trasformarli in spade fu un attimo e visto che non c'erano richieste particolari sulle spade, non dovevo incantarle e così le consegnai, il tomo le valutò a trecento monete d'argento a spada oppure trenta monete d'oro.

Tornai al tomo per prendere altri ordini, la giornata fu molto lunga, ma nessuno tornò a rubare il mio metallo.

Mi erano rimaste quattro ore prima di staccare e avevo già fatto la mia produzione, che era la produzione annua di ognuno di quei apprendisti, così decisi di non prendere altri ordini e mettermi a fare lingotti per il giorno dopo.

Ne produssi ben quaranta che nascosi in un cassetto della mia postazione.

Il giorno dopo i lingotti erano ancora al loro posto, questo mi faceva risparmiare molto tempo prezioso, il lavoro era molto monotono ma era retribuito e in più mi permetteva di aumentare di livello più velocemente.

Alla fine del mio primo mese di lavoro distribuirono le paghe, quando vidi la miseria del mio stipendio che era inferiore a quello degli apprendisti ci rimasi male.

Mi avevano dato appena trenta monete d'argento, gli apprendisti ne prendevano cinquanta.

Scoprii che secondo la legge del regno, io ero un cittadino di terzo livello; al primo posto c'erano i nobili, seguiti dai cittadini comuni e poi c'erano quelli senza cognome, io ero uno di quelli. La privazione del cognome, di solito, era il risultato di condanne penali, rientrando in questa casistica non mi spettava uno stipendio intero.

Il giorno dopo non tornai al lavoro, mi avevano trattato come un galeotto, quando la mia unica colpa era stata quella di essere stata cacciata da casa e non per colpa mia, ma di quei sacerdoti che non avevano riconosciuto che ero un mago.

In cuor mio sapevo che la colpa non era dei sacerdoti se ero stata cacciata da casa, ma era difficile ammettere di aver vissuto una vita nell'inganno pensando di essere stata amata e invece non era così.

Non uscivo quasi più di casa, solo per andare a comprare il cibo con il poco denaro che avevo, dovevo aspettare per ritirare quelli datemi dalla regina che la guerra fosse finita e vinta.

ESPULSA DALLA FAMIGLIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora