Capitolo 38

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Oddio!
Lei è qui.
Mi guarda con un'espressione assente, sconcertante e tiene una pistola in mano.
Io sbatto ripetutamente le palpebre in direzione di Maria e la mia mente comincia a lavorare freneticamente.
"Come ha fatto a entrare?
Dov'è Judith? Accidenti! Dov'è?"
Una morsa di gelo mi stringe il cuore, e mi viene la pelle d'oca per il terrore.
E se lei le avesse fatto del male?
Inizio a respirare rapidamente, mentre l'adrenalina e la paura mi entrano in circolo.
"Stai calma, stai calma."
Ripeto mentalmente il mantra più volte.
Lei piega il capo di lato, guardandomi come se fossi un fenomeno da baraccone.
Accidenti, non sono io il fenomeno da baraccone qui.
Mi sembra di averci messo un'eternità a elaborare questi pensieri, quando in realtà è passata solo una manciata di secondi.
L'espressione di Maria rimane assente.
Il suo aspetto è sciatto e trascurato come sempre. Indossa ancora quel sudicio trench e sembra avere più che mai bisogno di una doccia.
I suoi capelli sono unti e appiccicati alla testa, i suoi occhi sono di un color castano opaco, offuscati e vagamente confusi.
Benché abbia la bocca secca, cerco di parlare.
«Ciao. Maria, vero?» dico stridula.
Lei sorride, ma è più un'inquietante torsione delle labbra che un sorriso.
«Lei parla» sussurra, e la sua voce è morbida e ruvida al tempo stesso, un suono spaventoso.

«Sì, parlo» dico gentile, come rivolgendomi a un bambino.
«Sei qui da sola?»

Dov'è Judith?
Il mio cuore impazzisce al pensiero che le possa essere successo qualcosa.
La sua espressione si rabbuia, tanto che penso che stia per scoppiare a piangere.
Sembra così disperata.

«Sola» sussurra.

«Sola.»
E la profondità della tristezza in quella parola mi devasta il cuore.
Che cosa intende?
Io sono sola?
Lei è sola?
È sola perché ha fatto del male a Judith? Oh, no.
Devo combattere il terrore che mi artiglia la gola, mentre le lacrime minacciano di scendere.

«Che cosa ci fai qui? Posso aiutarti?»
La interrogo in tono calmo, gentile, nonostante la paura soffocante.
Lei aggrotta la fronte, come se la mia domanda l'avesse completamente confusa.
Ma non fa alcuna mossa violenta.
La mano che regge la pistola è rilassata.
Adotto una tattica diversa, cercando di ignorare la pelle d'oca.

«Vuoi un tè?»
Perché le sto chiedendo se vuole un tè?
È la risposta di Papà a ogni situazione difficile, che affiora inopportuna.
Accidenti, gli prenderebbe un colpo se mi vedesse in questo momento.
Avrebbe rispolverato il suo addestramento nell'esercito e l'avrebbe disarmata.
In realtà, Maria non sta puntando la pistola contro di me.
Forse posso muovermi.
Lei scuote la testa, poi la piega da una parte e dall'altra, come se stesse facendo stretching al collo.
Faccio un profondo respiro, cercando di calmarmi, e mi dirigo verso l'isola della cucina.
Lei aggrotta le sopracciglia, come se non riuscisse a capire che cosa sto facendo e si sposta un po', per continuare a guardarmi in faccia.
Prendo il bollitore e con mano tremante lo riempio sotto il rubinetto.
Mentre mi muovo, il mio respiro si regolarizza.
Sì, se mi volesse morta, di certo mi avrebbe già sparato.
Maria mi osserva con curiosità divertita e assente. Quando accendo il bollitore, mi sento affliggere dal pensiero di Judith. È ferita? Legata?

«C'è qualcun altro nell'appartamento?»
le chiedo timidamente.

Lei piega la testa, e con la mano destra, quella che non regge la pistola, afferra una ciocca dei suoi capelli lunghi e unti e inizia ad arrotolarsela intorno al dito, giocherellandoci, tirandola e torcendola.
È ovviamente un tic nervoso e, mentre mi lascio distrarre da ciò, rimango colpita ancora una volta da quanto questa donna mi assomigli.
Trattengo il fiato, aspettando una sua risposta, l'ansia che cresce dentro di me a un livello quasi insopportabile.

«Sola. Tutta sola» mormora.
Lo trovo confortante.
Forse Judith non è qui.
Il sollievo mi dà forza.
«Sei sicura di non volere un tè o un caffè?»

𝐹𝐼𝐹𝑇𝑌 𝑆𝐻𝐴𝐷𝐸 𝑂𝐹 𝑍𝑈𝑅𝐸𝑁𝐴Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora