Capitolo 25

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Mi sveglio cli soprassalto.
Penso di essere appena caduta dalle scale in sogno, e mi tiro su a sedere di scatto, disorientata per un attimo.
È buio e sono nel letto di Zulema da sola. Qualcosa mi ha svegliato, un pensiero tormentoso.
Guardo la sveglia sul comodino.
Sono le cinque del mattino, ma mi sento riposata.
Come mai?
Scendo dal letto, con un pensiero grato a qualsiasi cosa mi abbia svegliato.
Sento le note attutite del pianoforte.
Zulema sta suonando. Non posso perdermela.
Mi piace guardarla suonare.
Nuda, prendo l'accappatoio dalla sedia e me lo infilo mentre percorro con calma il corridoio, ascoltando il magico suono del melodioso lamento che arriva dal salone.
Circondata dal buio, Zulema è seduta in un cono di luce, e i suoi capelli splendono cli riflessi.
Indossa il suo pigiama.
È concentrata e suona divinamente, persa
nella malinconia della musica.
Esito, guardandola dall'ombra, perché non voglio interromperla. Vorrei abbracciarla.
Sembra smarrita, quasi triste, e disperatamente sola... o forse è sola la musica, così piena di sofferenza.
Finisce il brano, si ferma un attimo e ricomincia a suonare.
Mi avvicino con cautela, come una falena attirata dalla fiamma ...
Quella metafora mi fa sorridere.
Lei alza gli occhi su di me e aggrotta la fronte, prima di riportare lo sguardo sulle sue mani. Oh, merda, è seccata perché sono venuta a disturbarla?

"Dovresti essere a letto"
mi rimprovera dolcemente.

Capisco che qualcosa la preoccupa.

"Anche tu" ribatto, meno dolcemente di lei.

Lei alza di nuovo gli occhi, e l'ombra di un sorriso le aleggia sulle labbra.

"Mi stai sgridando, Signorina Ferreiro?"

"Proprio così, Signora Zahir."

"Non riesco a dormire." Continuo.

Si acciglia, e una traccia di irritazione,
o di rabbia, balena nel suo sguardo.
Ce l'ha con me? Non può essere.
Ignoro la sua espressione, e con audacia mi siedo di fianco a lei sullo sgabello del pianoforte, e poso la testa sulla sua spalla per guardare le sue dita agili che accarezzano i tasti.
Lei si ferma per un secondo, poi continua fino alla fine del brano.

"Cos'era?" mormoro.

"Chopin. Preludio opera 28, numero 4.
In Mi minore, se ti interessa."

"Mi interessa sempre quello che fai."
Si gira e preme le labbra sui miei capelli.
"Non volevo svegliarti." Dice.

"Non sei stata tu. Ma quell'altro."

"Quell'altro?"

"Il pezzo di Bach che hai suonato la prima volta che sono rimasta a dormire."

"Ah, il Marcello."
Comincia a suonare, lentamente e con passione.

Sento il movimento delle sue mani nella sua spalla, e chiudo gli occhi.
Le tristi, appassionate note ci avvolgono dolenti, riecheggiando dalle pareti.
È un pezzo meraviglioso, ancora più struggente di quello di Chopin, e mi perdo nella bellezza di quel lamento.
Da un certo punto di vista, riflette quello che sento.
O desiderio profondo e straziante di conoscere meglio questa donna  straordinaria, di cercare di comprendere la sua tristezza.
Il brano finisce troppo in fretta.

"Perché suoni solo musica triste?"

La guardo, mentre lei per tutta risposta si stringe nelle spalle, con un'espressione diffidente.

"Davvero avevi solo sei anni quando hai iniziato a suonare?"continuo.

Lei annuisce, lo sguardo sempre più diffidente. Dopo un attimo, di sua iniziativa, dice:
"Mi sono impegnata a studiare il pianoforte per fare contenta la mia nuova madre."

𝐹𝐼𝐹𝑇𝑌 𝑆𝐻𝐴𝐷𝐸 𝑂𝐹 𝑍𝑈𝑅𝐸𝑁𝐴Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora