C𝒶 p𝒾tℴlℴ 1

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Mya
𖥸










In quel reparto regnava il caos. Medici e infermieri correvano da una parte all'altra del pronto soccorso; pazienti feriti e familiari riempivano la stanza.

Quella sera pareva esserci stata una strage.

C'era chi urlava pretendendo di essere soccorso per primo, chi piangeva e gridava imprecazioni a caso, e chi invece se ne stava buono buono ad attendere che il personale in camice gli si avvinasse. Questi ultimi erano quelli che riportavano ferite meno gravi: una storta, un taglio o cose del genere. Il resto delle persone pareva che fosse andato in guerra.

C'era sangue dappertutto.

Il telefono della reception squillava di continuo e ben presto partirino altre due o tre ambulanze.

In tutto ciò, io ero impalata in mezzo al trambusto, confusa sul da farsi.
A qualunque persona volessi avvicinarmi, c'era già un mio collega ad assisterlo. E nessun medico pareva notarmi quando entrava in una stanza con un paziente.

Non era possible che nessuno avesse bisogno del mio aiuto!

Chiusi gli occhi, feci un lungo respiro e mi dissi a voce alta. «Staʼ calma, Mya. Va tutto bene. Tra poco qualcuno ti permetterà di fare il tuo lavoro». Riaprii gli occhi e tra la folla notai l'unico sguardo che mi fece raggelare sul posto.

Mi fissava serio, tremendamente serio. Anzi, pareva persino arrabbiato.
Cominciai a sudare freddo e mi sentii terribilmente in torto, anche se non avevo fatto niente.

Forse era proprio questo il problema...

Ancora dovevo realizzare di essere al pronto soccorso e non al mio solito reparto al primo piano.

Una mia collega aveva avuto un "contrattempo" - doveva essere per forza qualcosa di importante, altrimenti non l'avrei perdonata! - e si era permessa di assentarsi. Avendo bisogno di aiuto, avevano cercato nella lista dei dipendenti quelli più qualificati e (guarda un poʼ) avevano scelto me.

"È fantastico, Mya!", "Dai, che è la tua occasione per far vedere anche lì quanto vali!", mi avevano detto i colleghi del mio reparto. E sì, ero contenta che mi avessero scelto, ma... cavolo, non sapevo da dove cominciare!

Mi distrassi solo per un attimo e quello dopo Lui si era materializzato proprio di fronte a me.

«Valentine!»

Sobbalzai e mi trattenni dal portarmi una mano al petto. Per qualche secondo mi sentii una studentessa richiamata dal suo professore.
Beh, in un certo senso era così.

La mia sola presenza pareva irritarlo.

Deglutii e mi raddrizzai come un soldato. Ora mi sentivo come se avessi ingoiato una bastone. «Sì, sign... ehm, dottor Barlow?!».

Il dottor Barlow era uno dei migliori nel suo settore, ma anche il più temuto del pronto soccorso. E a me era capitato proprio lui. Pensa un poʼ che fortuna!

«Che stai facendo qui impalata? C'è un ferito nella stanza 5». Con la testa mi invitò a seguirlo. «Vieni con me».

«Sì!». Mi affrettai a stargli dietro, perché non volevo perderlo di vista in mezzo a tutta quella gente... e perché non ricordavo dove fosse la stanza 5.

Sembravo una ragazzina alle prime armi, invece sapevo bene cosa fare nel mio lavoro. Ero solo agitata. Ma in ospedale non potevo permettermi di esserlo. Non potevo sbagliare solo perché provavo ansia; c'era la salute e la vita delle persone in gioco.

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